Scena realmente accaduta all’interno del Tribunale di Messina, nei pressi dell’ufficio che rilascia i casellari giudiziari (indispensabili per presentare le candidature).
Un terzetto di uomini affaccendati, con scartoffie, telefoni, penne e taccuini in mano, è visibilmente agitato. Dal 13 maggio scatta il termine per la presentazione delle liste e, come sempre accade alle nostre latitudini, le donne, regolarmente ignorate per 5 anni, diventano improvvisamente utili. Non perché vengano ritenute brave, competenti, appassionate, impegnate politicamente. No, semplicemente perché c’è quella “casella rosa” da riempire. Un po’ per obbligo, un po’ per legge, tanto per ipocrisia.
“Compare me la trovi na fimmina? Mi manca per completare la lista. Ho provato con la cugina di mio cognato ma non c’è stato verso”.
L’amico replica “sì non ti preoccupare ti sposto io na fimmina da 20 voti così finisci la lista”.
Peccato che nel giro di pochi minuti, il tempo di un paio di telefonate la “femmina da 20 voti” giusto per riempire la casella, non è più disponibile. Forse “spostata” come una macchina, come un oggetto, come una cosa, altrove.
Tocca così assistere ad una deprimente ricerca telefonica della famosa “quota rosa”, tanto richiesta purchè muta, senza particolari ambizioni, innocua per gli altri, sotto il profilo della capacità di raccogliere voti.
La stessa scena in questi giorni si sta ripetendo con sfumature diverse in luoghi diversi. C’è sempre una “tappabuchi” che serve nelle liste perché dopo aver messo i pezzi da 90 ci si accorge a pochi giorni dalla scadenza che, ebbene sì, la norma si deve rispettare. Anche se agli uomini appare indigesta come un rospo da 8 chili.
La disperata ricerca della “fimmina” per finire la lista è diventato un fenomeno periodico, che si ripete uguale ogni 5 anni a 10 giorni dal termine per la presentazione delle candidature.
Improvvisamente spuntano ex compagni di liceo che dopo 35 anni si ricordano di quella “ragazza così appassionatamente impegnata”, colleghi di lavoro che fanno gli occhi dolci pur di convincere la vicina di scrivania che in fondo in fondo, condividere le campagne elettorali “fa squadra”. Fioccano le “proposte indecenti”, ma non sono quelle del film quanto piuttosto quelle più terra terra del “ti prego devo completare la lista entro due giorni”.
Un capitolo a parte riguarda i candidati sindaco perché anche questa volta Messina non avrà una donna alla guida di Palazzo Zanca, nonostante le ipocrite premesse di un finto dibattito tra gennaio-febbraio sul “finalmente una donna candidata sindaco”.
In ordine alfabetico Federico Basile, Maurizio Croce, Franco De Domenico, Gino Sturniolo, Salvatore Totaro, cinque su cinque uomini.
E se Basile ha confermato la squadra di De Luca (che le donne in giunta le aveva), e sia Sturniolo che Totaro hanno già indicato donne in giunta, De Domenico ancora non si è pronunciato. Quanto a Croce dei sei assessori solo una è donna, Matilde Siracusano (quindi su 7 in totale la quota rosa è ridotta al minimo).
Ma se il discorso delle giunte sarà da venire, è la corsa alla donna riempilista che fa toccare il fondo alla politica messinese.
In realtà, se fosse stato per la classe dirigente dello Stretto, le liste non si sarebbero mai colorate di rosa. Ma, si sa, il Paleolitico politico è alle spalle e insomma, ci sono regole che prima o poi sei costretto a rispettare. La doppia preferenza di genere è vista dai politici messinesi come le cinture di sicurezza da mettere quando all’orizzonte s’intravede la pattuglia dei vigili urbani. Per loro quel che conta è riempiere quella casella che il legislatore si è ostinato a riservare alle donne, “nonostante- sussurrano- persino i muri sanno che le donne non portano voti, non fanno clientele, ritardano alle riunioni perché hanno bambini e non capiscono niente di politica…”
Insomma, riempire la casella rosa della lista è una fastidiosa incombenza come quella di non lasciare i calzini in giro quando se li tolgono la sera.
Ma, fatta la legge, trovato l’inganno. Ed è così che si sono individuate due generi di candidate. La prima è la parente-congiunta (non deve essere di grado troppo lontano perché se no rischia di diventare autonoma e avere un pensiero tutto suo). Le preferite sono le mogli, le sorelle, le figlie. Un po’ meno le mamme perché sono quelle che a una proposta del genere ti prendono a ceffoni “pensavo di averti educato bene invece capisco che ho sprecato tempo”. La parente-congiunta entra in scena quando il “politico” non può, per svariati motivi, candidarsi in prima persona ma vuole tenere a tutti i costi la poltrona e far valere il peso dei suoi voti.
La parente-congiunta è quella che ha i voti, perché sono per l’appunto del “politico” congiunto. Non ha la benchè minima passione per la politica e ne farebbe volentieri a meno, ma la poltrona è la poltrona. Quindi è temutissima e ce ne sono poche in lista perché “la guerra è guerra” e il vero generale è il congiunto, nonché reale titolare della poltrona. Prima o poi spunteranno santini del genere: vota Rosaria Pincopallo detta GIUSEPPE, giusto per togliere ogni velo all’ipocrisia ed alla più offensiva delle pratiche.
Sistemate le parenti-congiunte, entrano in scena le altre, quelle che non devono dare fastidio a nessuno, le riempilista. Queste ultime non è facile trovarle, soprattutto dopo anni in cui il gioco è apparso evidente. All’inizio ci sono cascate in tante, credevano davvero di essere state chiamate per essere valorizzate, per dare una mano al “nostro progetto di cambiare Messina”. Poi, chiuse le urne, hanno compreso la fregatura. Così adesso è più difficile presentarsi da una donna impegnata sul territorio, in quel partito da sempre, magari pronta a spendersi davvero, e dirle “mi serve na fimmina per chiudere una lista”. Ti mandano subito a quel paese. Con diplomazia, ma il succo è quello.
Per questo sono introvabili le “riempilista”, perché sono diverse dalle “segnaposto” di alto lignaggio e maggiore fortuna (elettorale). A Messina si sono stufate di essere prese in giro.
Alla fine comunque “la fimmina” si trova sempre, giusto per riempire i 32 i posti, consegna i documenti necessari per la candidatura e porta anche una manciata di voti. C’è sempre in famiglia o tra gli amici una donna che si sacrifica per la causa. Del resto lo facciamo da secoli.
Sarebbe bella una ribellione collettiva a questa prassi umiliante ed offensiva. Le quote rosa e la doppia preferenza di genere sono frutto di tante battaglie.
Sono strumenti imperfetti, inadeguati, è vero, ma affondano le radici nelle battaglie per il voto alle donne, nel 1946. Non è detto che chi dice di rispettare la legge rispetta le donne. Se la classe dirigente messinese continua a considerare le donne come tappabuchi ed a trattarle come tali, a immolarle sull’altare dell’ipocrisia, nessuna vorrà veramente impegnarsi. E di “fimmine” da 20 voti da spostare da una lista all’altra come oggetti, come manichini nelle vetrine dei negozi non ce ne saranno più.