Chi non ricorda l’Alfano conteso della scorsa estate? Una delle premesse più rilevanti delle regionali del 2017 si era articolata attraverso un pendolo oscillante il cui il leader di Ap sembrava essere diventato il ’Dominus’ in grado di determinare gli equilibri, i candidati e persino la potenziale vittoria degli schieramenti nella corsa alle Regionali.
La gloria però è durata poco. I dubbi invece sono stati molti e rimangono tutto sommato alla fine ancora in campo.
La lista comune con i Centristi per l’Europa di D’Alia, a sostegno di Micari nel centrosinistra, per come è venuta fuori, è già di per sé un approdo sottodimensionato rispetto a quello che l’ex delfino di Berlusconi vantava (in maniera autoreferenziale) alla vigilia come ambizione.
Saccheggiata dal centrodestra e alle prese con molti abbandoni, alcuni dei quali clamorosi (Alongi, Cascio e Germanà), la compagine neocentrista si pone come obiettivo, tutt’altro che scontato da raggiungere, il 5% che darebbe la cittadinanza all’Ars nella prossima legislatura agli outsider di lusso, Ardizzone, Forzese, Mangano, Scarpinato e Vinciullo.
E poi? All’indomani di quella che si annuncia una campagna impegnativa per il centrosinistra, dagli esiti potenzialmente molto incerti, scatterebbe, anche a livello nazionale una clamorosa resa dei conti a base di numeri e risultati, ottenuti e mancati.
Certo il fatto che Renzi vorrebbe la legge elettorale approvata prima del voto siciliano in qualche modo garantisce i neo centristi di sinistra con Alfano che ha chiuso con Renzi, principalmente un accordo romano con relativi posti in lista e collegi eventuali. Ma non basta.
Lo scenario diventerebbe oltremodo problematico nel caso in cui invece Ap restasse fuori dal parlamento siciliano e complicherebbe anche i piani di riserva dello stesso Renzi, già provato dalla conta interna con la sinistra che sta proiettando su Claudio Fava tutte le cartucce in chiave di destrutturazione della leadership renziana.
Ma non è finita qua. La scelta degli alfaniani di andare con Micari è nata anche per effetto dell’aut-aut di Meloni e Salvini a Berlusconi, su cui Miccichè ha provato obiettivamente a interferire fino all’ultimo in tutti i modi possibili.
Oggi il centrodestra nel testa a testa che sembra la ‘volatona’ degna delle migliori Milano-Sanremo, potrebbe essere separato dai 5 stelle di un agguerritissimo Cancelleri, da una frazione anche minore del 5% che gli alfaniani avrebbero portato in dote. Salviniani e nuova destra siciliana invece stanno battendo i territori ma devono ancora dimostrare di potere raggiungere il migliore risultato possibile.
In altre parole, la guerra dei poveri, o dei piccoli partiti, rischia di essere tra i discriminanti in grado di fare la differenza. Anche per poche decine di migliaia di voti.
Per eccesso di paradosso ad Alternativa popolare potrebbe ad esempio succedere di non essere stata determinante per il centrosinistra, ma di aver fatto mancare al centrodestra quella parte di voti determinante.
Discorsi oggi evidentemente molto teorici che potrebbero anche essere compensati da un maggiore numero di voti rispetto alle liste che Musumeci e Cancelleri, potrebbero potenzialmente marcare.
Non è un caso che il dibattito sul voto utile sia maturato nell’ultima frazione della campagna elettorale.