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Daniela Di Bitonto Sello, attrice, regista, pittrice, poeta, artista e vice presidente dell’Effettismo | INTERVISTA

mercoledì 2 Giugno 2021
Daniela Di Bitonto Sello

«Il mio padrone è quella forza che mi fa fare le cose perché è necessario, ora e non in un altro momento. E se non è necessario, se non mi è di nutrimento, non faccio nulla. E quando l’ispirazione o l’intuito arrivano, portano con loro impegno, determinazione, fatica e felicità.» (Daniela Di Bitonto Sello)

Daniela Di Bitonto Sello

Ciao Daniela, benvenuta e grazie per avere accettato il nostro invito. Se ti dovessi presentare ai nostri lettori, cosa racconteresti di te quale , attrice, regista, pittrice, poeta, artista e vice presidente dell’Effettismo?

Se fosse una intervista registrata comincerei con una bella risata. Raccontare di me? Ogni racconto per quanto bello è frutto di fantasia, anche descriversi non può che essere frutto di una momentanea visione di sé stesso, domani potrei dire altro o eludere altro. Nella mia vita sono stata tutto quello che hai citato e molto altro, dietro l’angolo altre novità interessanti, fruttuose o invece sterili, questo mi è sempre successo fin da piccola. Come a una buona parte di umanità. Mi presenti come vice presidente dell’Effettismo. È vero, di questo devo ringraziare Francesca Romana Fragale che mi ha voluto fortemente per questo incarico, che considero immeritato anche se ne sono molto felice.

… chi è invece Daniela Donna nella sua quotidianità? Cosa ci racconti della tua vita al di là dell’arte e del lavoro?

Sono una persona molto semplice nei modi e nelle azioni, gli amici per me sono molto importanti, i veri amici, quelli a cui vuoi bene ricambiata nell’affetto e per mia fortuna sono in buon numero. I miei pensieri e i miei sentimenti invece semplici non sono, ma ho sgombrato da loro tutto ciò che era negativo, oscuro, lagnoso, insoddisfatto, ecc. C’è voluto del tempo, è un lavoraccio farlo, devi spietatamente affrontare tutti gli aspetti della tua personalità, le ferite, l’orgoglio che si annida nell’ego, i traumi subiti, i ricordi spiacevoli che non vogliono andarsene. Ma quando ci riesci, nei momenti in cui tutto questo evapora, il cuore si espande e si illumina e vedi la cosa più importante e più semplice che ci sia: che la tua vita è giusta così come è stata, come è e come sarà. In questa condizione oserei dire spirituale mi trovo quasi sempre. Daniela Donna nella sua quotidianità è questa sopra descritta.

Qual è il tuo percorso accademico, formativo e professionale che hai seguito e che ti ha portato a fare quello che fai oggi nel vestire i panni dell’attrice, regista, pittrice e artista poliedrica?

A parte un po’ di esami all’università abbandonata per il teatro, a parte un corposo corso all’interno della facoltà che mi ha permesso con l’esame di stato di diventare consulente del lavoro (anche se ho praticato quasi niente), direi che la formazione più voluta e amata è stata la scuola triennale di teatro. Non mi dilungo su nomi, date, ecc. Il vero percorso formativo è stato il lavoro sul campo. I titoli di studio e simili in questo nostro paese sembrano importanti, determinanti. Invece contano poco o nulla, li puoi tenere tranquillamente in un cassetto. Se scrivi poesie dai 16 anni in poi vuol dire che già parecchi anni prima scoprivi e leggevi i grandi poeti. In palcoscenico la pratica continua e lo studiare di volta in volta nuovi personaggi e quindi nuove vite ti dà quello che nessuna accademia può fare. E così è quando ti metti a scrivere per il teatro e non sai da che parte cominciare, ma aver letto e studiato innumerevoli commedie e tragedie dall’epoca di Sofocle in poi aiuta. E poi si impara sempre e continuamente: stare su un set cinematografico o in una sala di doppiaggio, fare del cabaret, cantare e ballare, anche se le cose descritte le ho fatte sporadicamente. Quello che ho fatto continuativamente per 40 anni è stato il teatro di prosa. Da circa 7 anni non lo faccio più, ho anche una certa età e pochissime sono le occasioni di lavoro odierne, oltretutto le parti femminili, soprattutto di donne non più giovani, sono sempre state poche. Fare teatro è un lavoro molto faticoso e io, come si dice, ho già dato. Invece è fiorita per me, nella tranquillità della solitudine, la gioia nel disegnare e nel dipingere.

Tu Daniela, come ricordavi prima, sei la vice Presidente dell’Effettismo, corrente pittorica creata dal Maestro Franco Fragale, della quale oggi Francesca Romana Fragale è Presidente e che vede l’adesione di tanti altri artisti, accademici e personalità di grande cultura. Perché hai abbracciato questa corrente e cosa rappresenta per te l’Effettismo?

Ho conosciuto Francesca Romana Fragale alle lezioni di pittura che teneva il padre, il Maestro Franco Fragale. Da lui ho imparato tantissimo, gli sono debitrice poiché mi ha molto incoraggiato. Il suo insegnamento pur sembrando leggero e divertente, andava invece in profondità, essenziale e determinante. È stato un grande dolore per tutti quando è morto. E in quel grande vuoto Francesca Romana ne ha raccolto l’eredità, ha aperto per un po’ di anni dei corsi di pittura ai quali ho partecipato come sua assistente.

Ai corsi venivano a insegnare bravissimi docenti, alcuni dei quali sono nel Movimento dell’Effettismo. Anche da loro ho imparato molto e Francesca seguiva con attenzione questa mia evoluzione. Rispondendo alla tua domanda, io non ho abbracciato la corrente dell’Effettismo, è l’Effettismo che mi ha abbracciato, preso sottobraccio e condotto in maniera fluida in questa bella impresa.

Raccontaci delle tue poesie, dei tuoi racconti, delle opere teatrali che hai scritto e dei tuoi libri. Quali sono che ami ricordare e di cui vuoi parlare ai nostri lettori?

Le mie opere teatrali sono state scritte in giovane età, quando il fuoco delle passioni, dell’indignazione sociale e delle speranze di cambiare il mondo con il teatro mi consumava e mi eccitava. Anni ‘70 e ‘80, cioè. All’epoca anche fare la regista era una mia priorità. Ne ho fatte 5 di regie e tutte con buone recensioni e riscontri favorevoli di pubblico. Poi mi sono stufata di sgomitare, non ero iscritta a nessun partito (né lo sono mai stata) e questo chiudeva molte porte. Dovrei scrivere un romanzo su questi argomenti. Cambiando discorso, ieri come oggi ho scritto e scrivo molto, sono articoli, commenti, presentazioni, pensieri e riflessioni. Ma voglio parlare della Poesia. Questa è la massima espressione che posso dare a me stessa e agli altri. Se c’è una cosa che mi definisce precisamente è la Poesia e La ringrazio. Sì, qualsiasi cosa faccia o dica io sono un poeta (oh! chiedo venia: una poetessa, eh, eh…).

… e delle tue opere di arti visive, dipinti e disegni? Cosa vuoi raccontarci di quest’altro tuo lato artistico e creativo esploso da giovane attrice di teatro e che da allora non hai mai abbandonato?

Si disegna e si dipinge in maniera efficace se si ha una buona tecnica, se si studia molto. Ma è importante cosa si vuol dire, cosa si vuole comunicare, come, in che modo. Per ciò che mi riguarda quando scrivo una poesia oltre al significato o al concetto è l’immagine la protagonista. Quando disegno o dipingo è una poesia che rappresento o tento di rappresentare. Ciò che vedo nella società o accanto a me, gli echi della Storia, le paure e le speranze, la magnifica solitudine dei manufatti umani, tutto filtrato da un occhio interiore, questo tento di rappresentare.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua arte e nelle tue opere?

Qualsiasi espressione artistica è al tempo stesso fisica e metafisica. Non dimentichiamoci della Musica. L’Amore è la forza determinante, nell’Amore c’è la Bellezza, la Grazia, la Gratitudine, la Compassione, la Giustizia. Sto parlando dell’Amore Incondizionato. C’è sempre in ogni creazione artistica, ma chi crea spesso non se ne rende conto. Pensa d’essere guidato dall’amore sentimentale e dalle sue pulsioni, che pure incidono e sono forti. Spesso sono la spinta per iniziare un progetto, instillano un’idea. Ma solo con l’Amore Incondizionato, che è l’ebbrezza di esistere e di vedere l’Esistenza, si può approdare a una sincera espressione artistica. Può essere un quadretto semplicissimo o quattro note messe lì o quattro parole messe lì, ma se questi vengono dall’Amore saranno operine fantastiche.

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’ è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

Parlando di Amore Incondizionato la Bellezza l’ho messa per prima. È una Qualità Assoluta. Che dire? Non ci sono parole. È indefinibile, indicibile, incommensurabile, come il Creatore, la Sorgente, Dio o come noi uomini vogliamo chiamarlo. Agostino alla domanda sul tempo rispose con una precisione mirabile. Lo sai, ma non lo puoi dire, non lo sai dire. La nostra mente capta il concetto o la visione che arriva dallo Spirito (Lui lo sa), ma non è capace di tradurre. La mente è pesante, non ce la fa. Siamo incarnati, quindi pesanti. Il figlio di 5 anni di un mio amico nella Cappella Sistina guardava in silenzio tutto quel ben di Dio e a un certo punto si è messo a piangere, ma non per capriccio o disagio. Piangeva di emozione, era sopraffatto da tal Bellezza. Era troppa. Traboccava. Il bimbo non aveva parole per esprimere questo, ma le parole non servivano. Quindi a parer mio si riconosce la Bellezza tramite l’emozione, la gioia che dà, la vibrazione intensa che permea tutto il corpo e davanti a Lei non avere più la nozione di tempo e spazio è un meraviglioso abbandono. Non c’è definizione.

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

Non appartengo a nessuna delle due categorie. Il mio padrone è quella forza che mi fa fare le cose perché è necessario, ora e non in un altro momento. E se non è necessario, se non mi è di nutrimento, non faccio nulla. E quando l’ispirazione o l’intuito arrivano, portano con loro impegno, determinazione, fatica e felicità.

«Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procuraci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo. (…) Ed ecco che in questa occasione non ci interessa tanto il fenomeno quasi naturale di individuazione di un nemico che ci minaccia, quando il processo di produzione e demonizzazione del nemico» (Umberto Eco, “Costruire il nemico”, La nave di Teseo ed., Milano, 2021, p.7). Riprendendo le parole di Eco, qual è il tuo nemico? Chi senti come nemico nella tua vita di oggi e chi è stato il tuo nemico nel passato? In altre parole, da cosa ti sei sentito e oggi da cosa ti senti minacciata, da un punto di vista più culturale, etico e morale, che fisico ovviamente, e contro cosa combatti nella tua quotidianità?

Ho letto praticamente tutto Umberto Eco, è stato ed è un vero amore letterario per me. Lui osserva quello che è stato ed è oggi l’Uomo con le sue miserie morali, con le sue invidie e avidità, con la sua sete di potere sugli altri. È giusto che abbia così tanto insistito sulla creazione del nemico per spiegare gli orrori del potere. Creazione del nemico come vediamo alla grande anche oggi nella politica, nell’economia, nei rapporti tra nazioni. Ma osservando la realtà degli avvenimenti nella mia vita, io non ho avuto né ho nemici. Sono stata disturbata da comportamenti umani, dalla burocrazia sempre molto ottusa e affamata, mi sono difesa nei miei molti viaggi da eventuali ladri, pure da corteggiatori nocivi o da maldicenze o cattiverie, ma non erano nemici. Erano uomini con tutti i loro difetti, le loro paure, le loro cattiverie. Occorre essere realisti, se li conosci li eviti. Ma non sono nemici. Il nemico è colui che ti vuole annientare, distruggere nell’anima e nel corpo. Per mia fortuna non li ho mai incontrati. Ancora.

Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Scrisse che l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto” e la “persona”. Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi, alcuni anni fa, in una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere.» (Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva da questo punto di vista e sull’arte in generale?

Sono d’accordo, d’accordissimo con Oscar Wilde. Anche se creo qualcosa spinta dalla necessità interiore, come già ho scritto, poi quello che ho fatto ha senso solo se un altro da me lo guarda, lo osserva. I suoi occhi e il suo corpo, consapevoli o no, ne sentiranno l’energia. Forse proveranno un’emozione. Una panchina in un giardino e l’albero accanto esisterebbero comunque anche se l’umanità sparisse. Ma noi diamo un nome, un valore e un senso a quello che vediamo. Da soli la panchina e l’albero esistono, ma non si danno un nome, un valore, un senso del perché siano lì.

«Un’altra cosa nell’arte visiva caratteristica è che non si rivolge in particolare a nessuno spettatore, non c’è una gerarchia di spettatori, ma sono tutti alla stessa distanza dall’opera. Non ci sono gli esperti. Un giudizio di un bambino vale quello di un cosiddetto esperto, per l’artista. Non c’è nessun particolare… Anche perché non esistono gli esperti d’arte. Gli unici esperti, veramente, sono gli artisti. Gli altri percepiscono l’arte, ma non possono essere degli esperti altrimenti la farebbero, la saprebbero fare.» (Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi delle parole di de Dominicis? Cosa rappresenta per te, da questa prospettiva, l’arte visiva? Chi è in grado di capire l’arte e quali competenze e qualità deve possedere per essere definito un esperto d’arte?

Non solo nelle arti figurative, ma in ogni forma di arte e anche se vogliamo nell’artigianato, gli esperti sono una iattura. Gli esperti di che? O sei l’artista (danzatore, cantante, musicista, scultore, pittore, ceramista, ecc.) e sei “esperto” in quello che fai oppure sei una persona che non fa arte, al più la guarda, ne usufruisce, quindi deve dire grazie e starsene zitto. Posso sopportare solo alcuni critici, chiamiamoli così, onesti e con buona cultura. Ma cos’è una critica? Di per sé è una parolaccia, è negativa. Altro è dire recensione. Il mio pensiero è: gli operatori dell’informazione che abbiano anche una buona cultura, che siano bene informati sulla materia e sulla storia di tale materia e che facciano una onesta recensione al servizio di una maggiore comprensione dell’opera da parte del pubblico, sono per me i benvenuti. Ma niente esperti.

«Ma, parliamo seriamente, a che serve la critica d’arte? Perché non si può lasciare in pace l’artista, a creare, se ne ha voglia, un mondo nuovo; oppure, se non ne ha, ad adombrare il mondo che già conosciamo e del quale, immagino, ciascuno di noi avrebbe uggia se l’Arte, col suo raffinato spirito di scelta sensibile istinto di selezione, non lo purificasse per noi, per dir così, donandogli una passeggera perfezione? Perché l’artista dovrebbe essere infastidito dallo stridulo clamore della critica? Perché coloro che sono incapaci di creare pretendono di stimare il valore dell’opera creativa? Che ne sanno? Se l’opera di un uomo è di facile comprensione, la spiegazione diviene superflua… » (Oscar Wilde, “Il critico come artista”, Feltrinelli ed., 1995, p. 25). Cosa ne pensi delle parole che Oscar Wilde fa dire ad Ernest, uno dei due protagonisti insieme a Gilbert, nel dialogo di questa sua opera? Secondo te, all’Arte, serve il critico d’arte? E se il critico d’arte, come sostiene Oscar Wilde, non è capace di creare, come fa a capire qualcosa che non rientra nelle sue possibilità, nei suoi talenti, ma che può solamente limitarsi ad osservare come tutti gli esseri umani?

Il critico d’arte serve in realtà per pubblicizzare l’opera di un artista e fargli vendere le sue produzioni. Il critico d’arte, il gallerista, le pubblicazioni specializzate, le case d’asta, l’esperto (questo sì esperto) che riconosce o meno l’autenticità di un autore sono tutti indispensabili a vari livelli per la vendita delle opere d’arte. E qua mi fermo.

« … è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l’ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato» (15 settembre 1984, Taormina). Da attrice di teatro di prosa, ascoltando queste parole dell’immenso Eduardo de Filippo che disse nel suo ultimo discorso pubblico tenuto a Taormina, cosa ti viene in mente, cosa pensi della figura dell’attore e dell’artista da questa prospettiva defilippiana, se vogliamo?

Mio Dio, come è vero quello che diceva Eduardo. E se a lui con la sua esperienza e il suo immenso talento succedeva questo, immaginarsi a noi attori comuni. È una vita durissima, occorre dimostrarsi vitali e sani anche se si è senza forze o malati. Nei teatri con grandi palcoscenici si soffre il freddo e i giri d’aria, per fare un esempio, ma continui a fare questo mestiere perché ne sei eternamente innamorato, perché esso contiene una magia che nessuno, neanche gli attori stessi e neanche Shakespeare hanno mai saputo spiegare, un’alchimia magica. Eduardo parlava di Teatro. Io ora parlo di teatro. Lasciamo stare fiction, doppiaggio e altre piacevolezze. Invece è abbastanza impegnativo, a volte faticoso, fare cinema. Ma il teatro è un’altra cosa.

«Il ruolo del poeta è pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta, per definizione, è un mezzo uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e non ha la forza di guidare uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista di Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n. 4, March 1963, pp. 1-7). Tu da poeta, Daniela, cosa ne pensi delle parole di Bukowski? Qual è secondo te il ruolo del poeta nella società contemporanea, oggi social e tecnologica fino alla esasperazione? Oggi al poeta, secondo te, viene riconosciuto un ruolo sociale e culturale, oppure, come dice Bukowski, fa parte di una “élite” di intellettuali che si autoincensano reciprocamente, una sorta di “club” riservato ed esclusivo, che non incidere realmente nella società e nella cultura contemporanea?

Non voglio parlare di Bukowski, lontano da me per cultura e mentalità molti anni luce. Nell’ambiente in cui ha vissuto probabilmente quello che diceva aveva un senso. Anche qua in Italia ci sono individui che si svegliano al mattino e si convincono d’essere poeti, pittori, cantanti, attori e più sono mediocri e più hanno spocchia e prepotenza. Ma io sono italiana e i miei riferimenti sono Ovidio, Dante, Ariosto, Leopardi, Saba, Quasimodo, Merini, Luzi. Non posso farci niente, è un mio limite. In più sono donna. Per cui non posso dire niente in merito alle opinioni di Bukowski.

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

“IL CIMITERO DI PRAGA” di Umberto Eco; “PINOCCHIO” di Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini); “CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO” di Giulio Bedeschi.

Fanno riflettere sulla Storia, sulle speranze, le vocazioni, le utopie, tutto questo risolto in un’unica espressione: la condizione umana.

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?

“2001: ODISSEA NELLO SPAZIO” di Stanley Kubrick

“MANIFESTO” di Julian Rosefeldt con Cate Blanchett

“NOI CREDEVAMO” di Mario Martone

Li ho scelti per le stesse motivazioni delle opere letterarie.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutata significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

A parte Francesca Romana Fragale e prima ancora suo padre verso i quali ho un debito di riconoscenza per aver così creduto in me e spronato in questa bella avventura, pensando a tutto quello che ho fatto dall’adolescenza in poi non devo ringraziare proprio nessuno, se non me stessa. Ovvero il mio spirito, la mia coscienza che mi ha fatto decidere che il teatro sarebbe stata la mia vita a 8 anni di età, che mi ha dato l’impulso a scrivere poesie, a leggere tantissimo e a imparare più che potevo dai 16 anni in poi, che mi ha fatto decidere di frequentare la scuola di recitazione e poi la mia venuta a Roma per lavorare malgrado la forte opposizione di mio padre e orgogliosamente non chiedendo il minimo aiuto né economico né morale alla mia famiglia. Ho lavorato anche vicino a grandi attori. Da loro, rubando con gli occhi e con la mente, ho imparato molto, sono stati maestri, ma nessuno di loro mi ha aiutato. Sono ambienti in cui nessuno ti aiuta, devi cavartela da solo. E questo è un bene, perché ti rafforza, ti tempra, te la devi vedere solo con te stesso. Prendendo in considerazione oggi altri ambienti in cui si recita, per inserirti in una fiction o roba simile devi essere “raccomandato”, figlio o parente di, avere amicizie utili, portare interessi vari, scambi di favori, ecc. E così nel doppiaggio. Ma vedo tutto ciò con distacco, non appartenente alla mia esperienza.

Ci parli dei tuoi imminenti impegni culturali e artistici, dei tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata?

Con una mia giovane collega attrice e con un trio d’archi tutto femminile stiamo lavorando a uno spettacolo di poesie e musica, leggendo e interpretando gli scritti di grandi poetesse italiane e straniere. Dovremmo debuttare a metà luglio con una prima serata, dopo la quale dovrebbero seguirne altre.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Ho una bella età, sono pensionata, ora quello che è importante per me è vivere con leggerezza e in libertà. Domani farò un acquarello o dipingerò su una tela? Concepirò pensieri o una poesia? Non lo so. Non ho un programma, un obiettivo, tutto ciò che mi accade non è uno sforzo cocciuto, avviene perché è scritto da qualche parte.

Per concludere, cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa chiacchierata?

Di stare bene con sé stessi, di osservarsi e quindi di conoscersi. Ama il tuo prossimo come te stesso: è molto difficile perché occorre capire che per prima cosa si deve imparare ad amare sé stessi. Spesso non ci amiamo per niente. Vuol dire levarsi gli occhiali dei condizionamenti e delle convinzioni e vedere nitidamente la bellezza che ci circonda, godere di cose semplici come un buon cibo, come i profumi in un giardino e godere della bellezza e profondità interiore che altri uomini e donne hanno creato, cioè un buon libro, una mostra o un museo, un concerto o una bella canzone. E aggiungo: un’opera lirica, una commedia, un balletto classico.

Daniela Di Bitonto Sello

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Daniela Di Bitonto Sello

Andrea Giostra

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Andrea Giostra
Andrea Giostra al mercato di Ballarò a Palermo
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