Carissimi
Ho seguito con attenzione in questi giorni le interviste al direttore d’orchestra Beatrice Venezi (già conosciuta in passato perché aveva rifiutato e banalizzato la richiesta di accettare il termine “direttore d’orchestra” al genere, su suggerimento della Boldrini) e oggi tacciata di essere vicina all’On. Meloni e quindi all’ambiente della destra, spattando uno dei teoremi fondanti del “radical-chic pensiero”, artista brava, donna di successo, addirittura anche bella e quindi di sinistra.
Forse, per la prima volta, chi ha vinto ribaltando lo storico primato intellettuale della sinistra, potrà se ci crede, presentarsi con una propria classe dirigente e una rete di consulenti e figure di prestigio (che per logica esisteranno anche se non necessariamente radical-chic) e saprà governare, consapevole che qualora dovesse fallire, avrebbe perso una storica e irripetibile occasione per cambiare il paese.
È giunto quindi il momento, come diceva una pubblicità di una nota casa produttrice di computer, di “pensare differente”. Puliamoci la mente dai ricordi di modelli del passato dimostratisi non più al passo con i tempi e superati.
Solitamente attendo come gli altri i momenti elettorali, perché spero di sentire cose intelligenti e proposte affidabili per cambiare uno status quo che se fosse efficiente e valido no avrebbe bisogno di cambiamenti.
Sento sempre di più un distacco da una “politica” che prima si barrica dentro i loro palazzi, a volte dentro i loro salotti e poi ad ora di scendere in campo e giocare, presenta sempre gli stessi giocatori e schemi cosi vecchi che persino Herbert Chapman con il suo “Chapman system” la doppia W (seppur vittorioso) a distanza di cento anni dalla sua invenzione, direbbe: “ora basta, sempre gli stessi schemi?”
Ad esempio, per esperienza personale nell’ultimo decennio coltivata nell’ambito della cultura, seppur dal punto di vista tecnico, ho avuto il privilegio di interfacciarmi con significative personalità del mondo del pensiero, della creatività e dell’organizzazione, ma di contro come tutti ho dovuto constatare come il mondo dell’arte più di ogni altro abbia sofferto la penuria di risorse pubbliche al quale era strettamente legato.
Proprio per questo mi sono auspicato un cambio di modello e soprattutto il coraggio di metter mano oltre che alle riforme anche all’approccio mentale alla tematica.
Visto che oggi più che mai il mondo della cultura, tramontato il tempo dei sussidi a pioggia anche per mancanza di risorse, occorre una nuova forma di , nei suoi diversi aspetti, con l’obiettivo di creare un sistema bilanciato di gestione in grado di progettare e realizzare attività comuni nel rispetto delle reciproche competenze, di fatto un percorso che dovrà realizzarsi attraverso passaggi successivi per giungere alla realizzazione di politiche culturali condivise e in ultima analisi dei distretti culturali.
Credo essenziale il coinvolgimento di soggetti e realtà esterne e che partendo da un complessivo ripensamento del ruolo delle istituzioni pubbliche (sempre più con funzioni di raccordo, di indirizzo verso un obiettivo dichiarato finale, ma non di gestione diretta attraverso strutture burocratiche intermedie di concentramento create al solo scopo di amministrare potere) si possa correggere i risvolti fallimentari evidenziatisi in passato.
Oggi i vecchi schemi, per toccare l’ambito locale, quali gli “uffici grandi eventi”, “film commission”, devono lasciare il posto a un’organizzazione più efficiente dove la partecipazione pubblica, possa cedere la sua regia ad un management privato (di certo più snello degli apparati burocratici pubblici), in grado di mettere a sistema i differenti ambiti di interesse e le diverse istituzioni pubbliche e private, creando sinergie virtuose.
Abbiamo bisogno di un cambiamento più che politico, oggi, mentale.
Un abbraccio, Epruno