La crescita dell’economia italiana si è fermata. Tra ottobre e dicembre il Pil è diminuito dello 0,1 per cento, scendendo sotto la media europea ed interrompendo la serie di sette trimestri consecutivi con il segno più.
Grazie al turismo e ai servizi, il calo è stato però inferiore alle attese degli analisti, che avevano previsto una decelerazione più netta compresa tra -0,2 e -0,4 per cento, e permette di portare la crescita dell’intero anno al 3,9 per cento, al di sopra, in questo caso, anche delle stime del governo.
Nella Nota di aggiornamento al Def, rivista e corretta a inizio novembre dall’esecutivo Meloni appena insediato, gli economisti del Mef avevano infatti indicato un aumento del Pil del 3,7 per cento nel 2002, con una decisa frenata a +0,6 quest’anno. Un dato che ora, nonostante lo spettro recessione continui ad essere da qualche parte evocato, appare più che raggiungibile.
Le stime dell’Istat, al momento ancora preliminari, calcolano infatti in base all’andamento dello scorso anno una spinta dello 0,4 per cento sul 2023. Se insomma tutti i trimestri di quest’anno registrassero una variazione pari a zero, l’economia italiana crescerebbe comunque, per quanto a ritmo lento. Ma l’abbassamento dei prezzi dell’energia a livello internazionale potrebbe, almeno per ora, lasciar presagire anche qualcosa in più della crescita zero nei prossimo mesi.
I segnali positivi arrivano peraltro anche dal mondo del lavoro, Gli occupati a dicembre sono cresciuti di 37mila unità su novembre e di 334mila unità su dicembre 2021, per quanto in stragrande maggioranza uomini. Il tasso di disoccupazione, è rimasto invariato al 7,8 per cento sugli stessi livelli di novembre e in calo di un punto percentuale rispetto a dicembre 2021. Il tasso di disoccupazione giovanile è sceso al 22,1 per cento, così come è diminuito il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni, con il tasso di inattività generale al 34,3 per cento. Sale ancora, invece, il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni, che con il 60,5 per cento raggiunge il livello più alto dal 2004, data di inizio delle serie storiche. Gli occupati complessivi nel mese sono 23.215.000, in questo caso il livello più alto dopo giugno 2019. Il vulnus però c’è e sta nell’impatto, ormai profondo, che l’inflazione ha avuto e sta ancora avendo sui redditi.
La forbice tra crescita dei salari e aumento dei prezzi si è ampliata in modo evidente nel 2022, toccando il 7,6 per cento. Un valore mai raggiunto prima, o almeno dal 2001, primo anno di diffusione dell’indicatore dei prezzi armonizzato a livello europeo.