L’utero per le donne non è solo un organo, ma anche un simbolo di identità. Difatti, l’universo femminile ruota intorno ad esso ponendo la donna ad una creazione e formazione della propria identità sessuale, passando dal menarca alla deflorazione e dalla gravidanza al parto.
L’isterectomia è in grado di annullare questa femminilità, proprio perché è una vera e propria mutilazione.
In Italia, ogni anno, vengono effettuate 70 mila isterectomie. Il 75% di queste vengono eseguite per condizioni benigne come metrorragie o miomi, meno frequentemente per prolasso (7%). Invece, solo per il 18% è effettuata per un cancro. Inoltre, è il secondo intervento chirurgico ginecologico, preceduto solo dal taglio cesareo.
Ma come mai le percentuali sono così alte?
A parlarcene è il dottor Vito Chiantera, Direttore dell’Unità operativa Complessa di Ginecologia Oncologica dell’Ospedale ARNAS Civico Di Cristina Benfratelli di Palermo.
Chiantera, oltre a denunciare un surplus di interventi, evidenzia che L’isterectomia, in ogni caso, può essere eseguito con nuove tecniche meno invasive.
Difatti, può essere effettuata tramite 4 approcci chirurgici differenti:
- laparotomica (tramite una incisione longitudinale o trasversale);
- vaginale;
- laparoscopica;
- laparoscopica roboticamente assistita.
La scelta del tipo di approccio chirurgico, in caso di patologia benigna, può essere influenzata:
- dalle dimensioni dell’utero;
- dalla presenza di comorbilità della paziente;
- dalla necessità di ulteriori procedure simultanee;
- dalle abilità tecniche del chirurgo;
- dalle risorse tecnologiche della sala operatoria.
“Vanno tolti sempre meno uteri, ma quelli che vanno tolti vanno eliminati in chirurgia mininvasiva”.