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Leggere “Due vite” è come sperimentare una bonaccia in mezzo all’Oceano Pacifico | di Andrea Giostra

domenica 5 Settembre 2021
Emanuele Trevi_Premio Strega 2021

Leggere questo libro è come andare con entusiasmo con una bella e attrezzatissima barca a vela nell’Oceano Pacifico speranzosi di emozioni e di grandi avventure, e dopo pochi minuti ritrovarsi in mezzo ad una soporifera e umidiccia bonaccia sperando che prima o poi arrivi il vento, una tempesta, delle onde giganti, uno tsunami, la scialuppa di Pi con la iena, l’orango tango e la zebra, una balena bianca che spinga quella che s’è trasformata in una zattera a stento galleggiate, fuori da quella staticità, che accada qualcosa, insomma, che ci smuova finalmente da quella noiosa immobilità nella quale ci siamo ficcati aprendo questo libro.

Invece, ahinoi lettori di “Due vite”, rimarrà la bonaccia, fino all’ultima pagina, fino alla fine.

Ho scritto “libro” perché, in realtà, “Due vite” è un melanconico, emozionale e nostalgico diario personale di un’amicizia tra tre scrittori di riconosciuto talento e di buon successo letterario italico all’interno delle comunità di lettori sofisticati e appassionati di letture ricercate, ma mai – come forse sognato sin dalla tenera età dai tre protagonisti della storia – di grandi Best Seller che avrebbero dovuto fare la storia della letteratura occidentale contemporanea. Un racconto intimo che pur non descrivendo mai alcuna scena di cinici tradimenti o di atti moralmente riprovevoli, costringe spesso il lettore a sperimentare una sorta di imbarazzante voyeurismo proprio perché le relazioni tra i tre protagonisti sono riservate, casalinghe, private, di scarso interesse letterario perché radicate nella quotidianità di tutti noi comuni mortali. Il sogno – che si respira sempre tra le righe della lettura – dei tre attori del libro di diventare noti scrittori al grande pubblico, rimarrà tale fino alla fine della storia narrata perché, pur avendo tutti loro pubblicato con le più grandi e importanti case editrici del loro tempo, pur avendo venduto decine di migliaia di copie dei loro libri, pur avendo ricevuto lusinghiere e positive critiche letterarie dalle più importanti riveste culturali e club letterari, il grande successo mediatico e di vendite sperato con centinaia di migliaia di copie vendute, per nessuno di loro arriverà mai… tranne che per la voce narrante di “Due vite” perché vincitore del Premio Strega 2021 che – è ovvio per tutti ed è banale anche scriverlo qui! – indipendentemente dal libro e dall’autore che l’ha scritto vende sempre, ogni anno, dal giorno successivo alla proclamazione, centinaia di migliaia di copie, se non, milioni di copie! Non c’è, infatti, alcun dubbio che il “Premio Strega” sia oggi il Brand editoriale che in Italia, e solo per l’Italia, garantisca al titolo che lo vince una vendita di copie che nessuna operazione di marketing, comunicazione e pubblicità potrebbe mai, onestamente, garantire.

Così come non v’è dubbio alcuno che tutti i vincitori dagli anni Novanta ai giorni nostri dello Strega – tranne un paio di casi già molto noti al grande pubblico dei lettori italiani prima di vincere il più importante e noto premio letterario italiano – dopo pochi mesi dalla vittoria, cadono nell’oblio letterario più assoluto del grande pubblico, esattamente come i Jalisse che vinsero il Festival di Sanremo del 1997.

Non credo che potrei aggiungere altro su questo libro… anzi sì, scusate, a dire il vero sì… due cose:

La prima:

La bonaccia, ad un certo punto del libro, dalla pagina 92, sembra prossima alla fine con l’inizio del racconto di un fatto che sospetta la regia della ‘ndrangheta nella prematura morte di Rocco: «Molto spesso, negli ultimi tempi, Rocco mi aveva parlato di una specie di inchiesta che gli era venuta in mente per un racconto o un reportage su Cosoleto. Nel paesino dell’Aspromonte, infatti, stando a quello che mi raccontava, si era registrato un picco inedito di morti per tumori. (…) Non so, ma la spiegazione di Rocco era terribile: l’Aspromonte è una zona rinomata per lo smaltimento clandestino di rifiuti tossici, una delle specialità della malavita locale. (…) Fatto sta che mi ero messo in testa (…) che Rocco avesse cominciato a fare domande inopportune e pericolose. E le strane circostanze di quello scontro mortale con una macchina parcheggiata suggerivano la presenza di un mistero e nello stesso momento l’assoluta impossibilità del suo scioglimento. In certe ore oscure di quella strana insonnia generata dalla paura del sonno, mi appariva come una certezza l’idea che Rocco fosse stato ucciso.» (pp. 92-94). Ma tutto finisce qui, troncato, come l’ingresso nella scena narrativa e la subitanea morte accidentale di Elpenore nell’Odissea di Omero: puro nonsense! (cfr. p. 78).

La seconda:

Al momento dell’acquisto in libreria, lessi, sulla quarta di copertina, le citazioni estratte dalle recensioni entusiaste di Sandra Petrignani, Marco Missiroli, Concita De Gregorio e Luca Mastrantonio (che riporto a seguire), che ebbero a convincermi ulteriormente del buon acquisto appena fatto. Lessi a seguire quelle di Lisa Ginzburg, Cristina Taglietti e Massimo Raffelli, che invece trovai pacate, misurate, descrittive, sagge e, per certi versi, di dovere giornalistico, prive dell’entusiasmo delle prime. Qui, allora, il dubbio mi assalì inesorabile e mi spinse ancor di più a voler leggere il libro prima possibile!

Adesso, dopo aver terminato di leggere “Due vite”, mi piacerebbe chiedere ai primi – se li conoscessi di persona! – quali sono i passi del libro dai quali hanno tratto queste valutazioni perché possa leggerle e rileggerle per capire anch’io le stupefacenti emozioni recensite. Sono perfettamente consapevole – e lo scrivo sempre per evitare equivoci e fraintendimenti di qualsivoglia natura! – che non sono uno scrittore, non sono un esperto di letteratura contemporanea, non sono un critico letterario, e quindi la mia opinione è quella di “uno vale uno”, ovvero nulla! Ma mi piacerebbe capire e approfondire questa questione letteraria dalla mia prospettiva di lettore dilettante ed al contempo di ignorante plebeo siciliano!

FINE!

Andrea Giostra

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Vedi su Ray Play dal minuto 00:38:00 al minuto 00:47:30, l’intervista a Emanuele Trevi di Geppi Cucciari, conduttrice della serata di premiazione del Premio Strega 2021:

https://www.raiplay.it/programmi/premiostrega

Stralci delle recensioni citate, dalla quarta di copertina di Due vite:

«Questo di Trevi è un libro pervaso dalla luce dell’amicizia, della forza quieta e granitica del suo sentimento». Lisa Ginzburg, Avvenire.

«Una “autobiografia per interposta persona” in cui la letteratura, l’amicizia, la vita, vengono intrecciate da una scrittura limpida e lucida» Cristina Taglietti, Sette.

«La capacità di stenografare in pochi segni un destino e di tracciare d’acchito una parabola esistenziale si confermano tratti elettivi della scrittura di Trevi, anche nei momenti di pathos e di nera malinconia che si accampano in Due vite». Massimo Raffeli, il manifesto.

«In Due vite si avverte la forza di un racconto che probabilmente da anni premeva nelle intenzioni e sul cuore, e che cuore e intelletto abbiano trovato la strada di pagine talmente essenziali e vere da lasciare i lettori a lungo senza fiato, commossi, coinvolti, perturbati». Sandra Petrignani, Il Foglio.

«Uno dei libri che ho amato di più in questi ultimi anni». Marco Missiroli

«Un libro che in queste settimane ho desiderato imparare a memoria, incorporare le parole come fossero mie». Concita De Gregorio, D, La Repubblica.

«Queste Due vite è un gioiello di disvelamenti psicologici, sul sadismo e sul masochismo degli affetti, sull’influenza del ceto familiare nei destini individuali e su volersi bene come cura e condanna. E unico è oramai lo stile di Trevi, di prosa d’arte umanissima, quasi prosa d’anima». Luca Mastrantonio, Sette.

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Post scriptum:

P.S. Punto uno

Da quando è andato in pensione il mio ex professore d’università, Girolamo Lo Verso, già titolare della cattedra di Psicologia clinica, una delle materie più ostiche e complesse del corso di laurea in Psicologia, capita ogni tanto che ci ritroviamo per un caffè al bar sotto casa sua, nel centro di Palermo, per discutere di letture, libri, letteratura. Il Prof. Lo Verso è uno dei più grandi lettori seriali e voraci che io abbia mai conosciuto, ha letto e riletto tutto degli autori siciliani più importanti della storia della letteratura siciliana, ha una conoscenza della letteratura occidentale che pochi posseggono, è stato amico personale di molti dei più grandi scrittori siciliani della seconda metà del Novecento, noti al grande pubblico, ha coltivato intime amicizie con le più grandi e significative personalità della mia città, Palermo. Ha scritto e pubblicato centinaia di articoli, saggi, testi universitari, libri scientifici del suo ampio campo di studi che spazia tra la psicologia clinica, la psicoterapia, l’epistemologia, le scienze psichiatriche e psicologiche.

Una delle cose che mi disse durante una delle nostre chiacchiere recenti, che mi colpì e che mi rimase impressa, fu questa, che riporto a memoria: «Io ho scritto centinaia tra libri e articoli scientifici. Ho scritto pure dei racconti, piccoli romanzi. Quello che so di certo e che ho capito, è che non ho il dono di scrivere letteratura. Scrivere saggi, libri universitari, testi scientifici è un’altra cosa. Scrivere letteratura è qualcosa che pochi sanno fare. Ne sono consapevole». Scrivere e pubblicare un “libro” è una cosa, scrivere Letteratura è tutt’altra cosa. Non potei che essere d’accordo con la sua riflessione. La penso allo stesso identico modo. E allora occorrerebbe che chi si cimenta e ha la rispettabile ambizione di scrivere un romanzo che volesse essere “Letteratura” – e anche questa a seguire è una cosa che chiacchierando ci siamo detti tra le righe – dovrebbe almeno leggere, capire e studiare la struttura, la composizione, la narrativa, delle opere che riporto a seguire. E dovrebbe farlo perché sono opere che danno una “misura” oggettiva, un “metro”, seppur Occidentale, di cos’è la Letteratura, ed essere così in grado di distinguerla da tutto il resto che evidentemente “è altro”. E allora – penso che il Prof. Lo Verso condivida! – se dovessi dare un consiglio ad un/a ragazzo/a, ad un/a adolescente con la passione per la scrittura e per l’arte dello scrivere, che volesse essere riconosciuto/a come “scrittore”, che volesse scrivere e pubblicare “romanzi” di qualità, direi di leggere, capire e studiare le opere che elenco in ordine cronologico a seguire:

– Marcel Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”, 1913

– James Joyce, “Ulisse”, 1920

– Rober Musil, “L’uomo senza qualità”, 1943

– Stefano D’Arrigo, “Horcynus Orca”, 1975

Chi, pur scrivendo, pur essendo “scrittore”, ovvero, pur auto-definendosi “uno scrittore” – ma anche tutti i critici letterari, i book blogger di professione, gli esperti di letteratura occidentale, tutti coloro che per professione scrivono di letteratura – non l’avesse ancora fatto, dovrebbe farlo e sperimenterebbe una sorta di “Sindrome di Stendhal letteraria” e, dopo questo studio-lettura, capirebbe da sé il confine tra la “Letteratura” e lo “Scrivere”, e avrebbe coscienza della qualità letteraria di quello che scrive e ha scritto.

P.S. Punto due

Dal profilo Facebook di Gian Paolo Serino del 23 agosto 2021, ore 16:07, sulla “Scrittura” che diventa arte del linguaggio alternativo, e per quello non compreso da molti critici letterari contemporanei:

#ControCultura Il Giornale. «Ho molto amato l’intervista di Alessandro Gnocchi ieri sul supplemento culturale a Emanuele Trevi vincitore del Premio Strega con lo stupendo “Due vite”. Dopo aver letto l’intervista ho fatto due pensieri, ed è quando nascono i pensieri che una intervista funziona. Una sul cambiamento della letteratura italiana e un’altra su Philip Dick che Trevi cita alla fine come autore che “non scriveva bene”. (…) Non è vero che Dick scrive male: Dick non racconta di persone ma ciò che sente. (…) Nell’intervista in chiusura Trevi parla di Philip Dick – del quale è curatore dell’opera completa per Mondadori- e in un passaggio sottolinea che Philip Dick non scriveva bene.  Ecco su questo non sono d’accordo: troppo si è favoleggiato sullo scrittore americano autore di “Blade Runner” come scrittore dallo stile sciatto. E qui mi ricollego a Trevi: Dick non racconta persone, ma ciò che sente. L’intera narrativa di Philip K. Dick è leggibile anche come una continua riformulazione della valore del linguaggio e verso un suo uso sperimentale o alternativo. Ed è la radicalità del suo rifiuto nei confronti delle strutture del reale che lo porta a ridefinire i rapporti esistenti tra le parole che esse creano. I tentativi di rompere il contratto tra la parola e il mondo. «Io sono un filosofo-narratore, non un romanziere; utilizzo la mia abilità di scrittore di romanzi e racconti come mezzo per dare formulazione al mio sentire. Al centro dei miei scritti non è l’arte, bensì la verità. Quindi, io dico la verità, e non posso far nulla per attenuarla con azioni o spiegazioni», ha confessato al suo biografo Lawrence Sutin. La cifra espressiva della sua scrittura è nella costruzione e nell’ottimizzazione degli scarti tra la vita e le opere, in un uso fortissimo dell’intertestualità. Infatti Dick non si è limitato a rimettere in forma in modo nuovo frammenti di testo che appartengono a generi e linguaggi differenti: il discorso teologico, il discorso filosofico, il discorso psicologico, il discorso sociologico, ma ci ha messo dentro la sua vita.»

P.S. Punto tre:

Cosa è un “Diario” personale e cosa è un “Romanzo”. È il dubbio che m’è venuto dopo aver terminato di leggere “Due vite”. Allora, come sempre faccio quando ho dubbi di questa natura, ho chiesto al mio fidatissimo consulente, Treccani, che così mi risponde:

dïàrio – 1. a. Forma elementare di storia in cui gli avvenimenti sono registrati giorno per giorno: per es., i Diarî, in 58 volumi, del cronista veneziano Marin Sanudo (1466-1536). b. Nell’uso com., quaderno o sim. nel quale si annotano e si commentano giorno per giorno gli avvenimenti che si ritengono più importanti, e spec., se a carattere personale, le proprie vicende intellettuali e sentimentali, si esprimono pensieri, osservazioni e spesso confessioni intime e segrete; le annotazioni stesse che si fanno: diario di viaggio; il d. di una spedizione scientifica; scrivere nel d.; tenere un d.; pubblicare il d. di uno statista, di un poeta, ecc. Anche, titolo di opere a stampa che riproducono il contenuto del diario di uno scrittore, di un artista, di un uomo politico, ecc.: il «Diario intimo» di N. Tommaseo.

romanzo – Alle origini delle moderne letterature europee, ampio scritto in lingua volgare, dapprima in versi poi anche in prosa, che narra avventure eroiche in margine alla storia o di pura invenzione; così nel r. cavalleresco e nel r. cortese, anch’esso del tipo cavalleresco, ma con prevalenza del tema amoroso.

Nell’uso moderno, componimento letterario in prosa, evoluzione della forma precedente, che si diffonde dalla metà circa del 16° sec. e si afferma nella letteratura europea a cominciare dal 17° sec., raggiungendo il suo maggiore sviluppo e le più varie articolazioni nel 19° sec.: narrazione di vicende familiari o di un singolo individuo, su uno sfondo storico o di fantasia. Per lo più di media estensione, può assumere talvolta le dimensioni e i caratteri di un racconto più o meno lungo (r. breve); o essere invece assai ampio e dare la narrazione continua delle vicende di un ambiente, di una famiglia, o addirittura di più generazioni (r. fiume; r. ciclico). I tipi di r. sono distinti e denominati in rapporto ai temi dominanti, allo stile, alla struttura ecc.

Per estensione si dà il nome di r. a opere letterarie antiche di carattere narrativo, destinate come il r. vero e proprio a dilettare il lettore: in questo senso si parla di r. greco o di r. indiano, orientale ecc.

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Il libro:

Emanuele Trevi, “Due vite”, Neri Pozza ed., Vicenza, 2021

https://neripozza.it/libri/due-vite

Emanuele Trevi, “Due vite”, Neri Pozza ed., Vicenza, 2021

Emanuele Trevi:

https://neripozza.it/autori/emanuele-trevi

Emanuele Trevi_Premio Strega 2021

Protetto: Autori

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