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Di Ilaria Cascino

Palermo, Cosmogonie: un archivio storico per l’intera umanità

giovedì 1 Giugno 2023

Inaugurata il 28 aprile e fruibile al Museo Riso di Palermo fino all’11 giugno, Cosmogonie, a cura di Cristina Costanzo è una mostra promossa dalla galleria 091 Art Project ed è la prima personale in Sicilia di Frèdèric Bruly Bouabrè. Artista e scrittore ivoriano, Bouabrè (1923-2014) intreccia la sua vicenda artistica con un’epoca di radicali cambiamenti politici ed economico-sociali, e si confronta con istanze di decisa valenza storica fino a contribuire alla realizzazione di una nuova e luminosa prospettiva paesaggistica.

Nel corso del tempo le sue parole si trasformano in motivi, con figure e oggetti dentro narrazioni visive coinvolgenti; la sensibilità umana della saggistica e della filosofia si trasfigurano in linee e colori dalla forte concentrazione espressiva. Come un vero e proprio cantore popolare, Bouabrè riporta nella sua produzione la prospettiva di unione e fratellanza, fedele allo spirito della comunità natia, quella Bété, che ha insita nel suo nome l’espressione ricorrente tra le popolazioni locali africane durante la lunga tratta di sottomissione coloniale, la quale fa riferimento alla speranza e al perdono. Tra i primi ivoriani a istruirsi sotto il governo francese, l’artista, che collabora con etnografi e antropologi, raccoglie racconti, tradizioni e informazioni sui suoi popoli nativi per commemorarne la storia in un’antologia di pittogrammi realizzati a penna e matite colorate su cartoncini da imballaggio in formato cartolina.

I processi di conservazione più strutturati nel rispetto della natura espressiva costruiscono un archivio visuale del tempo da cui partire al fine di porre l’attenzione sulla portata storica degli eventi e trasmettere la potente risonanza delle stratificazioni esistenziali.

Il ricco corredo di testimonianze e documenti si fanno manifestazione tangibile di pratiche ripetute assiduamente e producono l’esperienza concreta del colore: Frèdèric Bruly Bouabrè disegna la storia per preservarne la memoria e lasciare traccia della sua partecipazione alla vita, trasmettendo la sensazione di aver prodotto un corpo di lavori destinato a rimanere aperto. In tal senso, il valore documentativo quanto commemorativo del patrimonio e delle conseguenze immateriali, delle esperienze, delle strutture politico-economiche e delle relazioni col mondo rispecchiano pienamente la cultura africana tanto da divenire bene collettivo e comunitario utile a una prospettiva di ricostruzione storica. Adesso, i corpi e gli elementi in scena tentano di guidare la narrazione nell’epifanico gesto di accogliere gli eventi e testimoniare, con sentimento di familiarità, la determinazione reciproca dell’universale e dell’individuale, che di per sé è già insita in ognuno in quanto quotidiano bisogno di convivenza pacifica. In tal modo, il piacere estetico si coniuga con un profondo processo storico d’emancipazione e l’arte si traduce in autentica forma di resistenza, ove il tempo trascorso ritorna in una rappresentazione mitica apertamente riconoscibile: la memoria storica di fronte a cui ci si trova e alla quale è impossibile rimanere estranei prova a mutare le differenze in identità e le degenerazioni conflittuali in armonia.

La semplicità acquisisce monumentale intensità e, senza rinunciare al senso di intimità, restituisce all’iconografia la frammentarietà di una storia viva, per svelarne l’ideologia e le ambiguità e accogliere il fruitore in un luogo di rinnovata consapevolezza delle narrazioni postcoloniali.

La reinvenzione sentimentale delle procedure fruitive verso cui l’autore indirizza svela l’intrinseca possibilità interpretativa dei processi di riconoscimento e traduzione del pensiero in qualità tattile e coloristica dell’identificazione culturale. Le immagini fungono da deposito di significati e rendono pertinente, ancora oggi, la necessità di mettere in discussione la cultura capitalistica e guerrafondaia.

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