“L’antimafia che sposo è sicuramente quella basata, in primo luogo, sui fatti. Mi riferisco a quell’antimafia praticata, ad esempio, in silenzio da quei magistrati, coadiuvati dall’impegno e dall’azione delle Forze dell’ordine, che ha permesso e permette ancora oggi di contrastare la forza criminale di Cosa nostra che oggi continua a fare affari con le estorsioni e il traffico di stupefacenti, come dimostrano anche le operazioni di polizia degli ultimi giorni. L’antimafia dei fatti, però, deve essere praticata anche dalle istituzioni e dai suoi rappresentanti”.
Così il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, in un’intervista al Giornale, dopo le polemiche del passato. “Seppellire circa 1.400 bare rimaste nei depositi per oltre tre anni nel cimitero di Palermo e abbattere 72 tombe abusive costruite dai mafiosi – prosegue Lagalla -, come è riuscita a fare l’amministrazione che guido, credo siano azioni che vanno proprio nella direzione dell’antimafia dei fatti e siano significative affermazioni di legalità”. “Tengo subito a precisare che con l’ espressione di “antimafia ereditaria” non c’era alcun riferimento ai parenti delle vittime di mafia – sottolinea il sindaco di Palermo -, per i quali nutro profondo rispetto. Semmai, mi riferisco a quelle sigle o associazioni rassicuranti che avrebbero dovuto suggerire a educare al valore del giudizio e, invece, fanno a gara per distribuire patenti di incorruttibilità e sicura legalità e per raggiungere il primato dell’intransigenza e della purezza. Quelle realtà che, appunto, ereditano preconcetti che assumono sembianze di verità, andando contro, a volte, anche a sentenze passate in giudicato”.
Per Lagalla “non esiste un’antimafia di destra o di sinistra. L’antimafia dovrebbe unire e, invece, si sono create delle divaricazioni che hanno un effetto pericoloso, ovvero il rischio di disorientare l’opinione pubblica che, di certo, ama i suoi eroi per la legalità, ma assiste attonita a certe prese di posizione”.