Iniziative in favore delle vittime, effettiva partecipazione alle forme di giustizia riparativa, e, soprattutto, alla realizzazione del diritto alla verità, assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata: sono i punti fondamentali della proposta di legge di riforma della normativa sul cosiddetto ergastolo ostativo (art. 4 bis Ordinamento Penitenziario) predisposta dalla Fondazione Giovanni Falcone.
Ad aprile scorso la Consulta, sollevando dubbi di costituzionalità sulla legge esistente, ha invitato il legislatore a provvedere a una riforma entro maggio del 2022. Proprio in questi giorni in Commissione Giustizia, alla Camera, è in corso una discussione su alcuni testi. La Fondazione, con la sua proposta, intende dare un contributo auspicando che possa essere d’aiuto alle forze politiche a trovare una sintesi. Per questo, oggi stesso, invierà il testo a tutti i componenti della Commissione Giustizia. “Con questa nostra proposta – spiega Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone e presidente della Fondazione che porta il nome del magistrato – intendiamo dare il nostro apporto a un tema per noi di importanza fondamentale. Il fine è tener conto delle indicazioni della Consulta senza indebolire la lotta alla mafia e senza vanificare le grandi conquiste fatte in questi anni grazie a una legislazione costata la vita a tanti servitori dello Stato”.
La proposta di riforma è stata elaborata da Antonio Balsamo, giurista, presidente del tribunale di Palermo e consigliere della Fondazione Falcone, e da Fabio Fiorentin, magistrato esperto in materia di ordinamento penitenziario. Uno degli aspetti qualificanti è condizionare la concessione dei benefici penitenziari per gli ergastolani per reati di mafia e terrorismo alle loro iniziative in favore delle vittime, alla loro effettiva partecipazione alle forme di giustizia riparativa, e, soprattutto, al loro contributo per la realizzazione del diritto alla verità spettante alle vittime, ai loro familiari e all’intera collettività sui fatti che costituiscono gravi violazioni dei diritti fondamentali.
Nella previsione legislativa proposta dalla Fondazione, dunque, i benefici “possono essere concessi ai detenuti o internati, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, purché sia fornita la prova dell’assenza di collegamenti attuali del condannato o dell’internato con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, e dell’assenza del pericolo di ripristino dei medesimi e sempre che il giudice di sorveglianza accerti, altresì, l’effettivo ravvedimento dell’interessato, desunto dalla sua valutazione critica della sua precedente condotta, dalle sue iniziative a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa, e dal suo contributo alla realizzazione del diritto alla verità spettante alle vittime, ai loro familiari e all’intera collettività sui fatti che costituiscono gravi violazioni dei diritti fondamentali”.
Ai fini della concessione dei benefici il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide, acquisite dettagliate informazioni dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza, dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione al luogo dove il detenuto risiede, e nel caso di detenuti sottoposti al 41 -bis, anche dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.