I giudici della seconda sezione penale della Corte d’Apello di Messina, presieduta da Bruno Sagone, hanno confermato la condanna a 4 anni e 4 mesi di reclusione già stabilita dal Tribunale di Patti il 5 dicembre 2022 ad un uomo di 45 anni imputato dei reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali e interferenza illecita nella vita privata nei confronti della ex moglie, che si è costituita parte civile.
Lo rende noto il legale della donna, l’avvocato Massimiliano Fabio.
Insulti, sputi, umiliazioni, anche davanti ai figli, un controllo ossessivo delle spese familiari e di ogni spostamento della moglie, anche con l’aiuto di telecamere piazzate in casa, erano l’incubo quotidiano vissuto dalla donna la quale nel novembre del 2020, aveva deciso di separarsi definitivamente.
L’imputato aveva presentato appello contro quella sentenza, ma i giudici di secondo grado l’hanno riformata parzialmente intervenendo solo nella revoca della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale.
Per il resto, la Corte d’Appello ha parlato di “granitico quadro probatorio emerso dall’istruttoria dibattimentale” che ha mostrato come lui fosse un uomo violento e possessivo che sottoponeva la moglie a continue vessazioni fisiche e morali.
La Corte d’Appello ha rigettato le giustificazioni addotte dalla difesa dell’uomo la quale aveva sostenuto che i comportamenti del marito non fossero “abituali”, che le tirate di capelli, gli sputi, gli insulti, il clima costante di violenza e sopraffazione, fossero solo episodi circoscritti. I giudici hanno però sottolineato come le testimonianze della vittima – assistita dall’avvocato Massimiliano Fabio – fossero pienamente attendibili “anche alla luce di inequivocabili elementi di riscontro esterno, quali le molteplici deposizioni rese dai testimoni” e si fossero protratti per tutta la durata della vita matrimoniale.
“Nulla – hanno scritto i giudici della Corte d’Appello – nemmeno l’effettiva esistenza di una relazione extraconiugale, può mai giustificare un agire connotato da aggressività, mortificazione, disprezzo nei confronti della propria compagna e madre dei propri figli, a maggior ragione se ciò sia frutto della malata ossessione di un uomo il quale, addirittura, arriva a coinvolgere il proprio figlio di appena 13 anni, raccontandogli che la madre aveva un’amante”.
“Demoralizzante è l’assunto difensivo – ha aggiunto il giudice estensore della sentenza – con il quale si sostiene che si tratta solo di “espressioni tipiche di quegli uomini che cercano a parole di enfatizzare il ruolo di maschio proprio perché consapevoli che il realtà la figura predominante è quella femminile