Dal 1 gennaio 2024 è entrato ufficialmente in vigore l’Assegno di Inclusione, misura di sostegno economico che ha mandato in pensione il Reddito di Cittadinanza, sostituendolo. L’ADI, come il vecchio reddito di cittadinanza, può essere richiesto oltre che sul portale Inps, tramite i patronati e i Caf. Ma fin da subito sono emerse problematiche non di poco conto, che hanno messo in difficoltà sia i cittadini richiedenti che gli operatori dei Centri di Assistenza Fiscale. Ne abbiamo parlato con Ugo Nicolosi, responsabile di un Caf-Patronato di Palermo.
“Se posso fare una premessa – precisa Nicolosi – era meglio mantenere il sistema del RdC e non eliminarlo per introdurre una misura praticamente uguale, escludendo 500.000 nuclei familiari, e per il Sud la cifra è altissima” . In effetti, i requisiti per l’ottenimento dell’ADI sono diventati significativamente più severi, facendo sì che molti ex percettori del Reddito di Cittadinanza non potranno usufruire della nuova misura. “Uno dei problemi è stato quello delle certificazioni Isee, poiché da quest’anno il governo ha tenuto conto delle somme percepite tramite RdC o assegno unico, facendoli valere nel conteggio finale del reddito, aumentando così l’Isee dichiarato”.
Tra queste 500.000 famiglie vi è una fascia di popolazione che ancor di più ha sofferto l’esclusione dall’ADI e l’abolizione del Reddito di Cittadinanza, in quanto difficilmente occupabile. “Sicuramente la fascia che va dai 45 ai 59 anni sono le persone più colpite, che magari per motivi personali hanno perso il lavoro o non hanno avuto opportunità d’impiego. C’è gente che viene da noi disperata perché non riesce a mettere un piatto in tavola la sera o non può pagare l’affitto. Per queste persone è previsto il Supporto Formazione al Lavoro: in pratica sarebbero dei corsi che formano ai lavori che dovrebbero arrivare alle persone occupabili. Ma questi corsi sono pochi e alcuni non sono mai partiti“.
Ma come funzionano nello specifico questi corsi?
“L’Sfl prevede 350 euro di rimborso al mese durante il corso. Ma di fatto per molte persone questa somma non è sufficiente nemmeno a pagare l’affitto. Quindi con questi soldi o pagano le spese per frequentare i corsi, o ci campano. E’ un sistema che non sta funzionando“.
Nicolosi, che quotidianamente affronta le problematiche logistiche e burocratiche legate all’ADI, rivela che una delle matasse più difficili da sciogliere riguarda le Carte d’Inclusione, ossia le card su cui vengono bonificati i sussidi. A quanto pare, il fatto che la carta sia intestata a un componente del nucleo familiare e il contratto d’affitto ad un altro comporta non pochi grattacapi.
“Molte persone non si sono rese conto di avere diritto a due carte. Si sono accorti, al momento del ritiro della carta, di aver ricevuto una somma non conforme alla cifra a cui hanno diritto. La difficoltà che stanno riscontrando i cittadini, e anche noi come patronato nella compilazione delle domande, è la questione degli affitti: il componente familiare che ha fatto richiesta dell’ADI deve dichiarare a chi è intestato l’affitto. Quindi – prosegue – le carte si suddividono in due e il contributo dell’affitto di 280 euro lo riceve la carta di chi ha effettivamente intestato l’affitto. Ciò crea problemi, in quanto il bonifico per pagare l’affitto andrebbe fatto in un’unica soluzione”.
Ovviamente questi problemi mettono in difficoltà anche gli operatori, che si trovano in prima linea e fungono da tramite fra gli istituti di previdenza e i cittadini “Molte richieste vengono respinte senza una motivazione vera e propria. I primi a cui i cittadini chiedono spiegazioni siamo noi, ma non possiamo fare nulla oltre a compilare la richiesta. E’ l’Inps che deve dare risposte alle persone. Questo ci mette in difficoltà. Noi rimaniamo con la speranza che le richieste vengano accolte, c’è gente che non ha più vita sociale”, conclude Ugo Nicolosi.