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Il report

Cresce l’allarme dei sindaci per estorsioni, armi e spaccio di droga: ecco come è cambiata la mafia in Sicilia

giovedì 14 Marzo 2024

Secondo quanto sottolineato dagli inquirenti è generale il tentativo della mafia di infiltrarsi nell’economia legale attraverso azioni parassitarie, limitando la concorrenza degli altri imprenditori che non possono competere con ingenti flussi di capitale illecito. Ciò accade soprattutto nei territori con una propensione imprenditoriale più spiccata come nelle zone del Trapanese, Catanese, Palermitano, Ragusano e Siracusano. Pertanto, c’è una mafia che assume caratteristiche imprenditoriali sempre più estese nei diversi settori dell’economia più redditizia: dal settore energetico a quello dei rifiuti, dal turismo a tutte le attività connesse alla gestione del tempo libero. E’ quanto emerge dal report della commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Antonello Cracolici, che ha presentato la relazione in conferenza stampa a Palazzo dei Normanni.

Marco Intravaia
Marco Intravaia

L’attività congiunta fra la Commissione Regionale Antimafia e le altre istituzioni impegnate sul territorio per reprimere e prevenire le attività criminali ha sortito risultati proficui, come dimostra il report sulla mappatura redatta durante il tour nelle nove prefetture, presentato questa mattina. La mafia ancora purtroppo è presente in Sicilia e rimane estremamente pericolosa, lo è nelle estorsioni e nel controllo del territorio, ma anche in attività allarmanti quali la sempre maggiore circolazione delle armi e della droga“. È quanto dichiarato dal deputato regionale di FdI Marco Intravaia, componente della Commissione Regionale Antimafia.

L’uso in crescita delle sostanze stupefacenti – prosegue – assume contorni drammatici nel caso del crack, soprattutto per l’età sempre più bassa dei consumatori. Lo spaccio indiscriminato non soltanto è una lucrosa fonte di reddito per l’associazione criminale, ma mette a rischio ingenti fette delle nuove generazioni. Se la mafia ha necessità di lanciare segnali con cui afferma il suo potere, la politica è chiamata a mettere in campo azioni “culturali” che ne limitino l’ostentazione, attività che devono essere costruite insieme alle scuole, alle parrocchie, alle istituzioni e a tutti gli enti impegnati nelle azioni preventive che devono affiancare quelle repressive condotte in modo brillante dalle Forze dell’Ordine e dalla Magistratura“.

Per quanto riguarda il tema degli appalti e l’affidamento di servizi pubblici è emerso come spesso non serva neanche la connivenza di politici e funzionari, ma è sufficiente la disattenzione di chi dovrebbe vigilare, o una certa confusione normativa, come nel caso dei subappalti, dove sempre più preoccupante appare la caratteristica di servizi affidati a imprese costituite per svolgere singole attività senza che le stesse abbiano una storia imprenditoriale a garanzia della qualità dei lavori e della realizzazione degli stessi. Con grande allarme è stato segnalato, soprattutto in alcune province, come nell’Agrigentino e nel Siracusano – ma praticamente in tutta la Sicilia – vi sia una diffusa circolazione di armi, utilizzate come status symbol da ampie fasce della popolazione, cosa che ha favorito il compimento di omicidi, anche plurimi. Un altro tema spesso denunciato dai primi cittadini – nel dettaglio sono stati 302 gli amministratori locali incontrati dall’Antimafia – è quello legato alla sicurezza urbana e alla tutela dell’ordine pubblico, messo a dura prova dalla carenza cronica di personale qualificato e di agenti municipali e dall’assenza di sistemi di video-sorveglianza che richiedono costi di installazione e manutenzione fuori dalla portata delle casse dei comuni siciliani. Su questo la commissione chiederà al governo regionale, così come fatto con una risoluzione urgente per i comuni della “fascia trasformata” di estendere a tutti i territori, in particolare a quelli in dissesto economico, le tecnologie utili a tutela della sicurezza e della legalità.

Cosa nostra esercita il suo controllo nel territorio attraverso zone di influenza tramite clan che assumono il comando di intere zone o quartieri. Questo modello, seppur con elementi di differenza tra le singole province, è una caratteristica di tutto il territorio siciliano. A ciò si aggiunge la compresenza, in alcune province, oltre che dei clan legati a Cosa nostra, della Stidda, con un controllo pressoché totale di tutta la Sicilia. Ma a differenza degli anni ’80 e ’90 a caratterizzare le nuove forme di criminalità è una diffusa ‘pax mafiosa’ con un basso livello di conflittualità interna. A caratterizzare il tessuto connettivo della criminalità organizzata è il traffico di stupefacenti, con ingenti risorse immesse anche nel sistema legale e un controllo sociale che segue le logiche di spartizione delle piazze di spaccio: mentre l’organizzazione mafiosa controlla l’approvvigionamento delle grandi quantità, il mercato della trasformazione degli stupefacenti è affidato il più delle volte a gruppi familiari che, pur non essendo parte delle stesse organizzazioni mafiose, gestiscono la distribuzione al dettaglio. Attorno a questo tema gravitano molte delle emergenze segnalate dai sindaci ascoltati dalla commissione. Lo spaccio è spesso l’unica vera fonte di reddito per interi quartieri segnati dal degrado. Numerosi sono gli episodi di violenza e criminalità registrati sia per la ripartizione delle piazze che per i reati commessi da chi consuma droga, con conseguente aumento di fenomeni come baby gang ed episodi di prostituzione anche minorile

Quasi tremila i chilometri percorsi dalla commissione per i nove incontri svolti nelle sedi prefettizie dell’Isola, eccezion fatta per i comuni di Favara, Acate e Castelvetrano, scelti per un peculiare tratto criminale, o, come nel caso di Castelvetrano, perché all’indomani della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. Nel corso dei nove incontri con i prefetti sono stati sentiti dalla commissione antimafia: 19 procuratori capo, 4 procuratori antimafia, i questori, i comandanti provinciali della guardia di finanza e dei carabinieri, nonché i vertici delle direzioni investigative antimafia delle singole province. E’ emersa una recrudescenza del fenomeno estorsivo, sia connessa a una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire, sia in termini di denunce che in termini di reazione, con numerosi casi in cui, al contrario, è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta “messa a posto”. A questo dato si affianca un preoccupante sfilacciamento del tessuto sociale che, invece, sull’onda emotiva successiva alle stragi di mafia, si era schierato contro lo strapotere delle mafie. Una caduta della tensione che si è tradotta in un sentimento di indifferenza che ha determinato l’assenza di associazioni antiracket in alcune province siciliane o la loro cancellazione per inattività, riducendo la loro funzione, in alcuni casi, alla mera assistenza legale della vittima di estorsione senza che ciò si traduca in una attività di prevenzione e sensibilizzazione contro il racket. Sono 30, in tutto, le associazioni antiracket registrate nell’Isola, 31 se si considera quella in attesa di iscrizione a Ragusa, dove, nel 2021, ben tre associazioni sono state cancellate per inattività. Nella provincia di Agrigento, invece, non risulta alcuna associazione iscritta all’albo prefettizio.

 

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