Cari Lettori,
in qualche puntata precedente abbiamo accennato alla rilevanza del senso del gusto, in relazione alla sua riduzione durante le fasi precoci di infezione da SARS-CoV-2 (https://sanitainsicilia.it/gocce-anatomia-alterazioni-dellolfatto-del-gusto-soggetti-affetti-covid-19-perche_408452/). Dietro input di alcuni di Voi, oggi vorrei spendere qualche parola in più sulle basi anatomiche di questo importante senso speciale.
Iniziamo con “scomporre” le componenti strutturali che lo determinano in tre parti: i recettori, le vie e i centri di elaborazione. I primi hanno il compito di “trasdurre” (ossia trasformare) uno stimolo chimico (le molecole con cui vengono in contatto) in un segnale elettrico. Le seconde hanno la funzione di far viaggiare questi segnali elettrici verso il cervello. I terzi hanno lo scopo di trasformare queste informazioni elettriche in una percezione sensitiva cosciente, nonché di fornire al cervello stimoli per ulteriori elaborazioni, ideazioni e decisioni.
I recettori gustativi sono cellule epiteliali specializzate che si trovano principalmente a livello della lingua ma anche sparsi in tutti i tessuti limitrofi, nella regione orofaringea. Sono ospitati all’interno dei cosiddetti “calici gustativi”, strutture boccioliformi che – oltre ai recettori gustativi – contengono cellule “di sostegno” e cellule “basali” (ossia cellule indifferenziate, pronte a sostituire gli altri due elementi nel momento in cui fenomeni di stress o di senescenza programmata li portano a morte). Nella lingua, i calici gustativi sono ospitati principalmente a livello delle papille linguali, sebbene non in tutte.
Le papille sono dei rilievi che hanno il compito di rendere irregolare e rugosa la superficie superiore (dorso) e laterale della lingua, aumentandone lo spessore e la ruvidità, e quindi l’attrito durante la masticazione. Ne esistono quattro tipi: filiformi, foliate, fungiformi e circumvallate. I calici gustativi sono presenti soprattutto su quelle di maggiori dimensioni (e quindi le ultime due tipologie).
I calici gustativi, come detto, sono localizzati prevalentemente sul dorso e sul margine della lingua, con delle differenze topografiche per quanto riguarda la tipologia di gusto che sono in grado di percepire. Ad esempio, il dolce si percepisce meglio con l’apice della lingua, il salato sia con l’apice che coi margini laterali, i quali sono anche ricchi in calici preposti alla percezione dell’acido e dell’aspro; il senso dell’amaro è meglio percepito con la parte posteriore del corpo della lingua, mentre la parte centrale avrebbe soprattutto calici utili alla percezione del cosiddetto “umami”, termine giapponese traducibile come “saporito” o “sapido”.
Abbiamo detto che all’interno dei calici ci sono i recettori gustativi (vedasi figura), i quali – nella loro estremità apicale – presentano le proteine recettoriali per le molecole gustative, mentre all’altra estremità – quella basale – sono in contatto con le terminazioni periferiche di neuroni sensitivi. Il legame tra la molecola gustativa e la proteina recettoriale innesca una corrente elettrica a carico della terminazione sensitiva che inizia il suo viaggio verso il sistema nervoso centrale.
Ci sono fibre di ben tre nervi cranici che trasportano questi segnali elettrici verso il cervello, e precisamente il nervo faciale (dai due terzi anteriori della lingua), il nervo glossofaringeo (dal terzo posteriore) e il nervo vago (da restanti porzioni orofaringee). Queste fibre nervose entrano nel tronco cerebrale e fanno stazione nel cosiddetto “nucleo gustativo”, per poi proseguire verso il talamo attraverso un fascio di fibre che prende il nome di “lemnisco gustativo” (i “lemnischi” erano nastri sottili che, nell’antica Roma, venivano avvolti attorno alle corone militari e trionfali) e da lì giungere finalmente in una porzione al centro del cervello, area definita corteccia gustativa (vedasi figura). Qui l’impulso elettrico non si spegne affatto, ma genera nuove attività elettriche, da una parte funzionali all’interpretazione dello stimolo gustativo recepito (attraverso il confronto con le “memorie” del gusto accumulatesi nel nostro cervello), dall’altra parte per “contestualizzare” lo stimolo attraverso il confronto con stimoli percepiti, nello stesso momento, da sensi differenti (ad esempio la vista, l’olfatto e la temperatura); in ultimo, queste elaborazioni portano l’individuo a “decidere” se, ad esempio, quel gusto incontra il suo favore e quindi continuare ad alimentarsi della sostanza che l’ha generato, oppure no e far cessare lo stimolo.
Non è inutile ricordare infine come, al pari dell’olfatto, anche il gusto condiziona il nostro sistema limbico (di cui abbiamo già parlato qui: https://ilsicilia.it/gocce-di-anatomia-il-sesto-senso-non-esiste-il-sistema-limbico-probabilmente-si/) e quindi le nostre emozioni, rendendo più vividi alcuni ricordi e contribuendo alla cancellazione di altri.
Insomma, per concludere, alimentarsi significa anche generare esperienze emozionali, sebbene troppo spesso – nella frenesia del quotidiano vivere – ce ne dimentichiamo e trascuriamo questa rilevante componente del nostro corpo.
(Nota: l’immagine riprodotta è stata presa e modificata dal volume “Neuroanatomia funzionale” a cura di Alessandro Vercelli, Francesco Cappello et al., Casa Editrice Idelson Gnocchi, 2019, Napoli. Si ringrazia l’Editore)
Di Francesco Cappello