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Gocce di anatomia: miocardite dopo vaccini anti-COVID-19, focus sull’organo cardiaco

lunedì 10 Maggio 2021

Cari Lettori,
qualche giorno fa questa testata giornalistica ha dedicato un articolo alle rare segnalazioni di casi di miocardite dopo i vaccini anti-COVID-19 a mRNA (https://ilsicilia.it/vaccini-covid-mrna-si-studiano- legami-con-miocarditi-e-gonfiori-sul-viso/) riportando che il Comitato di farmacovigilanza dell’Agenzia europea del farmaco ritiene che non ci siano al momento indicazioni che questi casi siano dovuti al vaccino.

Francecso Cappello

Senza entrare nel merito specifico dell’argomento, in quanto dovremo attendere ulteriori studi che smentiranno (o meno) che tali complicanze siano dovute – ad esempio – a fenomeni di autoimmunità scatenata dal vaccino contro le cellule cardiache (ne parlammo in una delle prime puntate di questa rubrica: https://sanitainsicilia.it/gocce-anatomia-coronavirus-banale-influenza-unaggressione- autoimmune_408057/), cogliamo lo spunto per chiarire al lettore che ne sentisse il bisogno alcuni aspetti sulla struttura di quest’organo così importante e oggetto di studio non solo in ambito biomedico: il cuore.

Posto idealmente al centro dell’apparato cardiovascolare per la funzione propulsiva che esso esercita sulla massa ematica, imprimendole la forza necessaria per farla progredire all’interno dei vasi, il cuore è uno dei primi organi a formarsi nell’embrione, a partire da un vaso che inizia a pulsare e che, incurvandosi e sepimentandosi, dà origine alla nota struttura quadricamerale (due atri e due ventricoli posti in serie, uno da ciascun lato – destro e sinistro – rispetto a un ideale piano mediano) provvista di valvole che ne assicurano l’unidirezionalità del flusso sanguigno al suo interno. A destra, l’atrio raccoglie il sangue povero di ossigeno e ricco di anidride carbonica dal sistema venoso, mentre il ventricolo lo incanala verso i polmoni per la sua ossigenazione, mentre a sinistra l’atrio lo riceve – riccamente ossigenato – dai polmoni e il ventricolo lo inietta nuovamente nel torrente circolatorio attraverso l’aorta, il grosso vaso arterioso le cui diramazioni raggiungono tutti i tessuti periferici per fornire loro il prezioso fluido nutritizio.

Il cuore si trova nella cavità toracica, ma non per caso. Gli atti respiratori, infatti, modificano la pressione interna di questa cavità corporea la quale – durante l’inspirazione – raggiunge valori negativi: ciò agevola il ritorno venoso all’atrio destro (mentre questo è rilassato, ossia in diastole), soprattutto dalle porzioni più declivi del corpo nelle quali – durante l’ortostatismo – il sangue viaggia in direzione antigravitaria. La negativizzazione della pressione intratoracica, unitamente alla dilatazione delle pareti dell’atrio destro, agevola quindi l’aspirazione del sangue venoso e il suo passaggio dalla cavità addominale a quella toracica.

Volendo essere un po’ più precisi, dall’atrio destro, il sangue – attraverso l’ostio atrio-ventricolare omolaterale, il cui flusso è regolato dalla valvola tricuspide – si sposta al ventricolo destro, il quale contraendosi (sistole) lo spinge attraverso la valvola semilunare polmonare verso le arterie polmonari, al fine di incanalarsi nei polmoni. Un qualsiasi danno a livello dei capillari di quest’organo (quali ad esempio quelli che si verificano durante la polmonite da COVID-19) può aumentare vertiginosamente la pressione nelle camere cardiache destre compromettendo non solo l’intera funzionalità cardiaca ma – attraverso il ristagno venoso negli organi a monte rispetto all’atrio destro, come ad esempio il fegato – l’intero organismo.

In condizioni fisiologiche, il sangue ossigenatosi nei polmoni giunge alle camere di sinistra. Nuovamente, dall’atrio – attraverso l’ostio atrio-ventricolare corrispondente nel quale il flusso è regolato dalla valvola mitrale – raggiunge il ventricolo e da qui viene pompato nell’aorta: questo vaso ha una straordinaria capacità elastica in quanto è in grado di dilatarsi considerevolmente, sotto la spinta pressoria che la massa ematica ha avuto trasferita dalla sistole ventricolare, e poi restituirle questa pressione per farla sopravanzare nell’albero di vasi arteriosi che da essa deriva, essendo il reflusso ematico nel ventricolo sinistro prevenuto dalla presenza di un’ulteriore valvola (denominata semilunare aortica).

Questo ritmico “balletto” della massa ematica attraverso le camere cardiache può apparire, a chi l’osserva per la prima volta, di una bellezza e di una precisione straordinaria, quasi “miracolosa”. Il Lettore che ha avuto la pazienza e la voglia di giungere fin qui deve quindi essere posto a conoscenza del fatto che – da un punto di vista evoluzionistico – ci sono volute centinaia di milioni di anni per giungere dai primi cuori rudimentali apparsi in organismi viventi ormai estintisi o di cui permangono sulla terra loro lontani discendenti al cuore dei mammiferi, incluso quindi quello umano. L’evoluzione ha visto dapprima un cuore bicamerale (con un solo atrio e un solo ventricolo, come quello dei pesci), quindi un cuore tricamerale (tipico degli anfibi e della maggior parte dei rettili) e infine un cuore quadricamerale (presente negli uccelli e nei mammiferi).

L’organogenesi del cuore umano – sorprendentemente – ripercorre esattamente le tappe della filogenesi, formandosi nell’embrione dapprima un cuore con due camere, quindi osservandosi la genesi di una terza e poi della quarta. C’è rimasto solo lo spazio per fare un cenno alla struttura della parete cardiaca, la quale non si discosta molto da quella dei vasi: così come in questi organi, anche nel cuore descriviamo tre strati, uno più interno (endocardio), uno intermedio, prevalentemente muscolare (miocardio), e uno esterno (pericardio).

Lo strato più spesso è ovviamente il miocardio, costituito da diversi tipi cellulari: A) cellule contrattili (miocardiociti “di lavoro”), ossia quelle che determinano l’alternanza di sistole e diastole, atriali e ventricolari; B) cellule (miocardiociti “specifici”) che formano il cosiddetto “sistema di conduzione del cuore”, una rete di cellule che, come i neuroni, possono essere attraversate da una corrente elettrica e trasferirla ai miocardiociti di lavoro ma che – in più rispetto ai neuroni – questo impulso sono anche in grado di autogenerarselo, in una apposita struttura detta “pace-maker” cardiaco o nodo seno-atriale; C) cellule mioendocrine, che producono ormoni utili per il metabolismo non solo del cuore ma anche di altri organi (es., vasi, reni, cervello, etc.).

Sono proprio i miocardiociti di lavoro l’oggetto di particolare interesse degli studiosi che stanno analizzando quei casi di miocardite dopo i vaccini anti-COVID-19 a mRNA citati all’inizio di questo articolo, in quanto una loro alterazione morfo-funzionale può ovviamente rappresentare una complicanza tanto seria da mettere in pericolo la vita stessa del soggetto che vi incorre. È auspicabile quindi che il lavoro dei ricercatori impegnati in quest’ambito possa fare presto luce e chiarire tutti gli aspetti morfologici e molecolari di queste davvero rare segnalazioni di eventi avversi.

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