L’autonomia differenziata è un tema che accende quotidianamente il dibattito politico e sociale, soprattutto in ambito sanitario. Da un lato, questa riforma promette maggiore autonomia e responsabilità alle Regioni nella gestione delle risorse. Dall’altro, suscita forti preoccupazioni per il possibile ampliamento delle disuguaglianze territoriali, in particolare nel Sud, dove le Regioni partono già da una posizione di svantaggio rispetto al Nord.
Le criticità principali riguardano la distribuzione equa delle risorse e la capacità di garantire a tutti i cittadini un accesso uniforme ai servizi essenziali. Inoltre, molti temono che l’autonomia differenziata nella ‘tutela della salute’ possa compromettere gravemente la sanità nel Mezzogiorno. Non mancano previsioni negative anche per il Nord, con il rischio di mettere ancor più in crisi l’intero Servizio Sanitario Nazionale e di generare ulteriori difficoltà anche in ambito economico e sociale, senza precedenti.
Come potrebbe la Sicilia, in questo contesto, affrontare queste sfide e quali sono i rischi per il sistema sanitario regionale? Ne parliamo con Totò Cuffaro, segretario nazionale della Democrazia Cristiana, per comprendere le sue posizioni su questo tema complesso e cruciale, in considerazione anche della sua preparazione nel settore.
Con l’effettiva attuazione dell’autonomia differenziata, la Sicilia, che parte da una posizione di svantaggio rispetto ad altre regioni italiane, quali sono a suo avviso le principali criticità e le sfide che la Regione dovrà affrontare in ambito sanitario?
“Una sfida su tutte: quella delle liste d’attesa; e da questo punto di vista bisogna profondere tutti gli sforzi possibili e immaginabili. È indubbio, inoltre, la necessità di colmare i vuoti d’organico. Il governo regionale sta dando prova di massima attenzione: la manovra lo dimostra concretamente, il recente report dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (l’AGENAS) lo ha recentemente certificato. Dobbiamo garantire l’accesso equo e tempestivo alle cure per tutti i cittadini e dobbiamo garantirlo qui, in Sicilia“.
I Lep sono un elemento cruciale per l’equità nel sistema sanitario nazionale. Secondo lei, quali sono le principali problematiche legate alla definizione e alla garanzia dei Lep, soprattutto in regioni come la Sicilia?
“La Consulta dice che, dei Lep, deve occuparsene il Parlamento e a me sembra cosa buona e giusta, perché saranno le Camere, nel pieno delle loro funzioni legislative rappresentative, a garantire unità e coesione sociale. Però il problema dei Lep resta e attiene sostanzialmente al loro finanziamento, dal momento che servirebbero molti più miliardi di quanti possa prevederne una manovra. Ad ogni modo, aspettiamo il dettaglio della decisione della Consulta e consideriamo che il referendum abrogativo, pur essendo di fatto superato dalla sentenza stessa, resta al momento in piedi. Comunque vada a finire, il principio alla base di tutto deve essere uno: che tutte le regioni possano competere allo stesso livello”.
Per evitare un ampliamento delle disuguaglianze tra Nord e Sud nella distribuzione delle risorse e nell’accesso ai servizi essenziali, quali misure e procedure dovrebbe adottare il Governo? Esistono, a suo avviso, strumenti specifici per assicurare un’effettiva equità?
“L’Italia a due velocità è un’annosa questione che ha origini, storiche e sociali, antiche e profonde. Io credo che, al di là delle politiche che un governo possa mettere in atto e al netto dell’evoluzione che la vicenda autonomia differenziata potrà eventualmente avere, uno scatto d’orgoglio e di qualità, debba farlo la nostra classe politica, tutta. Non dimentichiamo che la Sicilia è una regione a statuto speciale: un potenziale enorme, non sempre sfruttato pienamente“.
Alcuni punti sono stati bocciati perché considerati anticostituzionali. Il suo punto di vista? Pensa che sia fondamentale ricorrere a un nuovo referendum?
“Il rischio d’incostituzionalità era alto, tenuto soprattutto conto dell’intero impianto del titolo V e delle specifiche previsioni degli articoli 116 e 117. Ad ogni modo, io penso che le sentenze vadano rispettate; quelle delle Consulta, poi, sono sacre. Quanto al referendum, strumento di diretta e virtuosa partecipazione popolare, in questo caso non credo che serva, anche in considerazione della specificità della materia; serve piuttosto che la politica prenda le mosse proprio dall’indicazione della Consulta e agisca di conseguenza”.