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E’ iniziato qualche giorno fa il processo che vede imputati nell’Aula bunker di Messina i vicerè delle agromafie della zona nebroidea a seguito della maxi operazione Nebrodi scattata all’alba del 15 gennaio 2020, condotta dai Ros e dal Gico di Messina, coordinata dal Procuratore capo Maurizio De Lucia, e che ha portato a 94 arrestati e 151 aziende agricole sequestrate: 101 persone al netto degli stralci e delle richieste di rito abbreviato.
Adesso i soggetti rinviati a giudizio dal Gup di Messina, Simona Finocchiaro, sono 111. E Giuseppe Antoci, presidente onorario Fondazione Caponnetto è stato presente nell’aula bunker messinese. L’accusa è, tra le altre, di truffa aggravata per il conseguimento dei fondi AGEA, ovvero i fondi comunitari della PAC che solo in Sicilia ha visto piovere attraverso il Programma per lo Sviluppo Rurale, per il periodo 2014-2020, l’astronomica cifra di 2.212.747.000 euro.
IlSicilia.it ha ascoltato in esclusiva, nella sua prima apparizione pubblica dopo l’inizio del processo, Giuseppe Antoci. Era stato proprio il Protocollo di Legalità a firma di Antoci, oggi Legge dello Stato e strumento di riferimento anche oltre i confini nazionali, a lanciare la sfida alle consorterie dell’area nebroidea, in particolare di Tortorici e Cesarò, “il cui business – spiega Antoci – facilitato dalla connivenza e consulenza di professionisti per raggirare la fitta giungla burocratica imposta dall’U.E., procedeva indisturbato da diverso tempo con gravi ripercussioni all’intero sistema agro-alimentare dell’Isola“.
Il Protocollo di Legalità ha, tra le altre cose, introdotto l’importante novità Art. 25 per cui “la documentazione di cui al comma 1 è sempre prevista nelle ipotesi di concessione di terreni agricoli e zootecnici demaniali che ricadono nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonché su tutti i terreni agricoli, a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono di fondi europei“, incenerendo, in altri termini, la soglia del valore di 150.000 del valore dei contratti e, nella richiesta dell’informazione, la distinzione tra pubblico e privato.
L’ordinanza dei magistrati messinese è chiara: “In gran parte, oltre quelli depredati, si usavano terreni liberi, presi a caso da tutta la Sicilia e da zone impensabili dell’Italia, usati, spacciati come propri, per le raffinate truffe delle associazioni” e ancora: “La mafia che ha scoperto che soldi pubblici e finanziamenti costituiscono l’odierno tesoro e come siano diminuiti i rischi pur se i metodi restano criminali. e ancora: “il campo di maggiore operatività e’ divenuto il grande business derivante dalle truffe ai danni dell’Unione Europea, come detto piu’ remunerative e meno rischiose“. “… nel contesto che emerge nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato… Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia“.
“Abbiamo colpito con un’azione senza precedenti la mafia dei terreni ricca, potente e violenta, ed è per questo – spiega Giuseppe Antoci, – che hanno tentato di uccidermi. Volevano fermare la legge nazionale e tutto quello che sta accedendo oggi. Io li guarderò dritti negli occhi, senza paura, senza indugi e con l’unica forza che ho: quella dello Stato“.