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Il colloquio

Separazione delle carriere, Caleca: “Riforma in parte efficace, ma anche maldestra. Non risolve i problemi della giustizia”

giovedì 23 Gennaio 2025
Avv. Nino Caleca
Nino Caleca

L’obiettivo è quello di approvarla entro l’anno, come annunciato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, ma dietro di sé è comunque pronta a lasciare una scia di polemiche e pareri discordanti che promettono di tenere i riflettori accessi sull’argomento ancora per molto. E’ stato portato a termine proprio a metà della scorsa settimana il primo dei passaggi parlamentari necessari per l’ok al disegno di legge costituzionale che mira alla separazione delle carriere dei magistrati requirenti e giudicanti. Il via libera è arrivato alla Camere con 74 voti a favore, 92 voti contrari e 5 astenuti.

Una “battaglia”, se così si può definire, intestata e condotta dal centrodestra e dal Governo Meloni e che nel corso dei mesi ha preso sempre più forma, fino all’approdo in Parlamento. Una materia complessa e articolata che necessiterà di tempo e riflessioni prima di essere portata a suo pieno compimento. Se da un lato la maggioranza vede la riforma come la soluzione ai problemi vigenti nel sistema giudiziario italiano, la visione delle forze di opposizione è totalmente differente. Ad assumere una posizione netta è stata anche l’associazione nazionale magistrati, che ha evidenziato il rischio di un’alterazione dei rapporti tra i poteri dello Stato.

Dunque, cosa cambierebbe? Attualmente, in Italia, i magistrati svolgono due funzioni, quella giudicante e quella requirente. In un procedimento giudiziario, i magistrati giudicanti svolgono la funzione di giudice, mentre quelli requirenti corrispondono ai pubblici ministeri e rappresentano l’accusa. Tutti i magistrati seguono lo stesso percorso formativo e nel corso della carriera possono decidere di passare dal ruolo di giudice a quello di pm. I magistrati, inoltre, rispondono ad un unico organo, il Consiglio superiore della magistratura.

Con le nuove regole, invece le carriere dei magistrati requirenti sono separate da quelle dei giudicanti e dunque ogni magistrato dovrà scegliere all’inizio della propria carriera se assumere il ruolo di giudice o quello di pm, senza poter successivamente cambiare. A ciò ne consegue un’altra novità, con la creazione di due Csm, il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente, con i componenti che verranno estratti a sorte, e l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare. Con la riforma, inoltre, i due Csm non avranno il potere di giudicare sulle eventuali responsabilità dei magistrati.

Ad allarmare maggiormente sarebbe l’effettiva autonomia del pubblico ministero e il rischio di far venire così meno una giustizia equa, imparziale ed efficiente. Ma è realmente così? Si tratta di preoccupazioni fondate? Ne abbiamo parlato con Nino Caleca, giudice siciliano del Consiglio di giustizia amministrativa, che raggiunto da ilSicilia.it ha parlato della riforma costituzionale della separazione delle carriere evidenziando luci ed ombre.

Nino Caleca

Da una parte – ha dichiarato Caleca – i paletti inseriti per garantire l’autonomia dei pubblici ministeri, nonostante la separazione, sono abbastanza importanti. Per questo motivo non penso che la risposta che sta dando la magistratura associata a questa proposta sia conducente. E’ una risposta che rischia di aggravare il contrasto con la politica, piuttosto che risolvere le criticità. Il problema che la politica soffra il controllo giurisdizionale è un fatto che caratterizza un po’ tutte le democrazie avanzate dell’Occidente, dunque non solo in Italia. Il provvedimento non risolve i problemi che la giustizia in questo momento manifesta. Si tratta di una riforma in parte efficace e in parte maldestra perché rischia di aggravare i problemi della giustizia“.

Caleca ha dunque posto l’accento su quello che in realtà è il momento più critico nel rapporto tra giustizia e cittadini: la fase delle indagini preliminari che compete al pubblico ministero.In questa fase – ha spiegato – alcuni pubblici ministeri sono sensibili alla diffusione mediatica, alcuni si è detto anche politica. Sono insomma poco attenti alle garanzie difensive. Non riesco a capire come con la separazione delle carriere questi pericoli e questi atteggiamenti dei pubblici ministeri siano destinati a diminuire. Se sono più autonomi non diventano automaticamente più rispettosi delle garanzie degli imputati. La ritengo maldestra perché mette a rischio i valori più profondi della giurisdizione che si fondano sul rispetto e sulla libertà delle persone. Sottrarre o allontanare il pubblico ministero da questi valori e mantenergli la capacità e il potere di disporre di polizia, carabinieri, guardia di finanza, alla fine rischia di dare vita ad una parte processuale ancora più potente rispetto a quella che c’è oggi“.

Per Caleca “il punto vero è che, come in parte ha tentato di fare il legislatore, capire qual è il momento vero di crisi dell’amministrazione della giustizia. Quando il pubblico ministero fa un’indagine che porta poi all’assoluzione degli imputati o quando chiede il rinvio a giudizio per processi che si concludono con assoluzioni perché il fatto non sussiste, non è lui che sbaglia, ma ha sbagliato o ha mostrato la criticità più grossa il gup, il giudice dell’udienza preliminare, e il gip che hanno il compito di filtrare questi atti. Se il cittadino viene assolto dopo un rinvio a giudizio che l’ha costretto ad un procedimento che dura per anni, con le conseguenze che sappiamo, forse la criticità più grossa l’ha manifestata chi l’ha rinviato a giudizio e non ha controllato fin dall’inizio la fondatezza delle indagini“.

Come risolvere il problema? Valorizzando maggiormente il ruolo del gip e del gupanche sotto il profilo mediatico. Perchè dobbiamo conoscere i nomi dei pubblici ministeri che hanno fatto le indagini e non di quelli dei gip e dei gup che hanno fatto i rinvii a giudizi? E’ inconcepibile – ha aggiunto – che il gup nei processi più grossi, soprattutto, possa rinviare a giudizio, quindi accogliere le richieste del pubblico ministero, senza spiegare perché ritiene fondate richieste del pubblico ministero e infondate le argomentazioni della difesa. Una cosa inconcepibile, che ha trasformato questo momento del processo in un rito. Se non devo motivare posso anche non considerare le argomentazioni di una parte e dell’altra“.

Le soluzioni, in realtà, non mancherebbero:Si potrebbe fare in modo che quando il gup dispone il rinvio a giudizio debba motivare il perché lo fa, dare conto di tutte le esigenze della difesa con un provvedimento, per esempio, riconosciuto soltanto dalle parti, pubblici ministeri e difesa, e non trasmetterlo al giudice che deve decidere. Al contrario – ha concluso Caleca – si potrebbe anche stabilire che non si debba motivare quando per esempio si archivi o non si dia seguito alla richiesta del pubblico ministero: quindi motivare i rinvii a giudizi, non motivare gli archivi e le sentenze di procedimento. Forse ciò riuscirebbe molto a risolvere questo problema“.

Il tema resta dunque molto caldo, ma l’iter, trattandosi di una riforma costituzionale, in realtà, richiede molto più tempo di quanto ci si possa aspettare: il ddl dovrà essere approvato due volte sia dalla Camera sia dal Senato e successivamente, con molta probabilità, verrà sottoposto a referendum. Al momento vi è solo il primo “sì” alla Camera.

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