“Il Tribunale di sorveglianza mi ha concesso la riabilitazione e di conseguenza la titolarità dei miei diritti, compreso il diritto di presentare i miei libri nelle sedi istituzionali. Ne do notizia a chi questo diritto me lo ha contestato a causa della mia condanna per mafia, sancendo un principio di irredimibilità. La sentenza che mi riabilita ha dimostrato che in una società civile ai “reietti” è concesso il diritto al riscatto“. Lo scrive Nino Mandalà, 86 anni, condannato a 8 anni di reclusione con l’accusa di essere boss mafioso di Villabate dopo la notizia che il tribunale di sorveglianza di Palermo ha accolto il suo ricorso e lo ha riabilitato.
Mandalà fa riferimento alle polemiche sollevate dopo la notizia che il Comune aveva concesso uno dei suoi locali per la presentazione di un suo libro. Oltre all’autore alla presentazione c’erano la scrittrice Sandra Guddo, l’ex provveditore agli studi di Palermo Rosario Gianni Leone, il moderatore Antonio Dolce e Pino Apprendi, garante comunale per i diritti delle persone detenute. “E’ questo un concetto ignoto – aggiunge – agli sciacalli inebriati dall’odore del sangue e impegnati ad azzannare alle calcagna la preda di turno e in particolare chi, come me, si è imbattuto in una vicenda giudiziaria elevata a stigma definitivo che nega persino di esistere pur all’insegna di valori legittimi“.
“Secondo i miei avvocati – conclude – ci sono gli estremi per trascinare in giudizio chi ha abusato di me e della mia famiglia (beninteso famiglia di sangue) ma rinuncio a questa decisione perché non mi va di sporcarmi in una contesa con piccoli uomini. Per quanto riguarda poi i rumor che mi vogliono sodale di Provenzano, dico che non ho mai conosciuto questo signore e la stessa cosa dice la magistratura che non mi ha mai contestato alcun rapporto con lui. E’ tempo che si smentisca una volta per tutte la mitizzazione del mio spessore criminale assolutamente lontana dall’essere vera“.