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Un quadro clinico e sociale

Papa Francesco, l’ictus emorragico e il peso di una lunga fragilità

martedì 22 Aprile 2025

Papa Francesco è morto il 21 aprile 2025 alle ore 7.35 del mattino, all’indomani della benedizione Urbi et Orbi pronunciata in piazza San Pietro.

Secondo quanto comunicato dal Vaticano, il decesso è stato causato da una grave emorragia cerebrale, con ogni probabilità un ictus emorragico. Si tratta di una delle patologie cerebrovascolari più gravi e letali, seconda solo alla cardiopatia ischemica tra le cause di morte a livello globale.

Una salute compromessa nel tempo

Negli ultimi anni di pontificato, il Papa aveva affrontato un progressivo indebolimento fisico.  Ma già nel 1957, a soli 21 anni, gli era stata asportata una parte del polmone per un’infezione, probabilmente conseguenza di una tubercolosi. Nel giugno 2023 era stato sottoposto a una laparotomia con plastica della parete addominale, a causa di un laparocele incarcerato con sindromi sub-occlusive dolorose.

Tra il 2024 e il 2025 si sono susseguiti ripetuti ricoveri per patologie respiratorie: polmonite, bronchiti ricorrenti e un’influenza severa, proprio a causa della fragilità dei suoi polmoni. Il 14 febbraio 2025, un grave episodio di bronchite con infezione polimicrobica, evoluta in una polmonite bilaterale, ha richiesto l’ultimo ricovero, rivelatosi quasi fatale. Infatti, dopo oltre un mese di degenza (dimesso il 23 marzo) il Papa è morto a seguito di un improvviso evento vascolare che lo ha strappato alla vita.

Ictus emorragico

In Italia, ogni anno oltre 200.000 persone vengono colpite da ictus, e circa 30.000 da forme emorragiche. Le persone anziane o con patologie pregresse sono le più vulnerabili.

L’ictus emorragico è una delle emergenze neurologiche più gravi. Si verifica quando un vaso sanguigno nel cervello si rompe improvvisamente, provocando una fuoriuscita di sangue che danneggia i tessuti circostanti. Questa emorragia intracranica può causare danni estesi e irreversibili, spesso con conseguenze drammatiche.

Le cause più frequenti includono l’ipertensione arteriosa non controllata, malformazioni dei vasi, traumi, aneurismi cerebrali o un uso inappropriato di farmaci anticoagulanti. Anche abitudini di vita scorrette, come il fumo, una dieta squilibrata, l’obesità, la sedentarietà e lo stress cronico, aumentano il rischio.

Le ripercussioni di un ictus emorragico possono essere devastanti: paralisi, difficoltà nel linguaggio e nelle funzioni cognitive, perdita di coscienza e, nei casi più gravi, la morte. La mortalità entro 30 giorni varia dal 20% al 30%, e raggiunge il 40-50% a un anno dall’evento. Tra chi sopravvive, il 75% riporta disabilità permanenti, e circa la metà non riesce più a condurre una vita autonoma.

Una patologia “tempo-dipendente”

Negli ultimi anni, la creazione delle Stroke Unit – reparti specializzati per il trattamento dell’ictus – ha migliorato sensibilmente l’efficacia dell’assistenza. Ma il fattore tempo resta decisivo: le terapie sono efficaci solo se iniziate entro 4,5-6 ore dall’esordio dei sintomi. Proprio per questo, è fondamentale l’attivazione tempestiva della rete tempo-dipendente del 118, che coordina i soccorsi e indirizza il paziente verso i centri specializzati più vicini, riducendo al minimo i tempi di intervento. Non a caso, si dice che “il tempo è cervello”: ogni minuto può fare la differenza tra vita, disabilità o morte.

I fattori di rischio e la prevenzione

Come per molte patologie cardiovascolari, anche nel caso dell’ictus emorragico i fattori di rischio sono spesso legati allo stile di vita e a condizioni mediche non ben controllate. Tra i principali troviamo l’ipertensione arteriosa cronica, che rappresenta la causa più frequente, seguita dall’aterosclerosi, una condizione in cui le arterie si irrigidiscono e si restringono, ostacolando il normale flusso sanguigno.

A tutto ciò si aggiungono abitudini poco salutari, come il fumo di sigaretta, l’abuso di alcol, una dieta ricca di grassi saturi e zuccheri, la sedentarietà e il conseguente sovrappeso o obesità. Anche aneurismi cerebrali, malformazioni vascolari, traumi cranici e l’uso prolungato di farmaci anticoagulanti possono aumentare il rischio. Infine, lo stress cronico – spesso sottovalutato – ha un impatto importante, soprattutto nelle persone più fragili: recenti studi dimostrano che può quintuplicare la probabilità di andare incontro a un ictus.

La buona notizia è che circa il 90% degli ictus può essere prevenuto, intervenendo proprio su questi fattori modificabili. Nonostante ciò, secondo la World Stroke Organization, una persona su quattro nel mondo sarà colpita da ictus nel corso della vita.

La prevenzione è quindi la strategia più efficace. Alcuni accorgimenti, semplici ma fondamentali, possono ridurre drasticamente il rischio:
tenere sotto controllo la pressione arteriosa, seguire un’alimentazione equilibrata, evitare fumo e alcol, fare attività fisica con regolarità, e gestire adeguatamente patologie croniche come il diabete, le dislipidemie (alterazioni dei grassi nel sangue) e la fibrillazione atriale, una delle aritmie più comuni.

La scomparsa di Papa Francesco potrebbe diventare un momento di riflessione collettiva su un tema ancora troppo trascurato: la prevenzione dell’ictus e la diffusione di una cultura della salute più consapevole.

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