Sono passati 43 anni da quando, alle 9.20 del 30 aprile 1982 in via Li Muli a Palermo, la mafia uccideva Pio La Torre, segretario regionale del PCI e l’autista e scorta Rosario Di Salvo. In cosa nostra quello era il periodo in cui iniziava la scalata dei corleonesi di Totò Riina che non potevano permettersi di avere un ostacolo così lucido, così ingombrante, così coraggioso come Pio La Torre. In tanti anni di impegno sindacale e politico, come deputato regionale e nazionale, La Torre ha sempre improntato la sua azione politica alla giustizia sociale per la tutela dei più deboli, avversando abusi e soprusi, denunciando ogni disuguaglianza e facendo della battaglia per la legalità e la lotta alla mafia un punto imprescindibile che ha pagato con il sacrificio della vita.

Esemplare, da questo punto di vista, la relazione di minoranza fatta dalla Commissione nazionale antimafia, scritta da La Torre con il giudice Cesare Terranova e presentata il 4 febbraio 1976, incentrata sul rapporto di compenetrazione tra il sistema di potere mafioso e l’apparato statale-politico. Utilizzò la parola “mafia” in contrasto con quella di maggioranza che ometteva perfino di chiamarla col suo nome.
Sul tema, il segretario regionale del Pd Anthony Barbagallo pone una lunga riflessione.
“L’attualità del pensiero e dell’azione di Pio La Torre sta nella lucida analisi storica e sociologica del sistema politico-clientelare-mafioso e dei loro indissolubili legami. Era un visionario, un combattente, un difensore dei deboli e delle classi contadine “piegate” prima dal fascismo e poi dal potere extra legale della mafia. E sta, ancora, nel rapporto con i movimenti, i comitati, al fine di garantire il precetto costituzionale della partecipazione attiva dei cittadini al governo della cosa pubblica. Memorabile – in piena guerra fredda – la sua battaglia per opporsi alla realizzazione di una base NATO a Comiso, organizzando una mobilitazione permanente per impedire che ciò avvenisse. E poi, la norma che porta il suo nome, la legge “Rognoni-La Torre”, varata nel 1982, che introduce nell’ordinamento penale italiano il reato di associazione mafiosa ed il sequestro dei beni. Anche questa tremendamente attuale e probabilmente ciò che ha decretato la sua “definitiva” condanna a morte“.
“Il Pd – sottolinea – deve trarre ispirazione da Pio La Torre per continuare il percorso di rinnovamento che, tra tante difficoltà, stiamo portando avanti sia a livello nazionale sia in Sicilia. Oggi come allora la nostra parte politica, non può girarsi dall’altra parte. È fin troppo evidente come la mafia abbia diversificato il proprio raggio d’azione: non solo droga ed estorsioni ma investimenti in settori con grande disponibilità di risorse pubbliche: su tutti quindi i rifiuti e la sanità. Il primo è al collasso, un settore debole e ad alto tasso di infiltrazione mafiosa per via degli ingenti investimenti che vi girano attorno. E di certo la realizzazione dei termovalorizzatori voluti da questo governo non passerà inosservati a ‘lor signori’. Anche la sanità non va meglio: riforme non ne abbiamo visto e i diritti dei cittadini alle prestazioni sanitarie vengono confusi con “i favori” con servizi sempre più scadenti. Non certo per colpa dei medici“.
“Per scardinare questo sistema ‘malato’ – conclude – occorre attuare la lucida visione, ancora attuale, di Pio La Torre. Occorre che la politica faccia la sua parte e non deleghi ad altri poteri. Il centrosinistra ed il Pd sono chiamati oggi più che mai a liberare le energie migliori, le forze più fresche, a puntare senza indugio sulle competenze dei nostri giovani e sulla tenacia e la determinazione delle donne siciliane“.