Lo Stato non versa i contributi, e così rischiano di non percepire la pensione i circa 200 testimoni di giustizia italiani, persone finite nei programmi di protezione per avere assistito (o per esserne state vittime) a episodi di criminalità organizzata.
“Chiediamo che lo Stato – dice Giuseppe Carini, testimone chiave nel processo a carico degli autori dell’omicidio di don Pino Puglisi – si faccia carico di versare tutti i contributi pensionistici e scongiurare così il pericolo concreto che il testimone di giustizia arrivi alla pensione in condizioni di povertà”.
La questione è già stata sottoposta alla Presidenza del Consiglio, al ministero dell’Interno e alla commissione Antimafia. Di quest’ultimo organismo fa parte anche la deputata Stefania Ascari, che ha presentato un’interrogazione. “Noi testimoni di giustizia – conclude Carini – abbiamo fatto il nostro dovere civico, rischiando di essere assassinati, meritiamo rispetto”. A denunciare pubblicamente il problema è stato anche Pietro Nava, la cui testimonianza consentì agli inquirenti di individuare gli assassini del giudice Rosario Livatino.
Ignazio Cutrò – l’imprenditore edile di Bivona che denunciò il racket delle estorsioni facendo condannare i responsabili – è oggi presidente di un’associazione che raggruppa i testimoni di giustizia e lancia un appello alla premier Meloni e al ministro Piantedosi: “Non chiediamo privilegi, ma solo l’estensione della platea di beneficiari delle tutele previdenziali che lo Stato ha già riconosciuto alle vittime di mafia e terrorismo. Noi – continua Cutrò – non ci siamo sottratti agli obblighi di legge, ma abbiamo subito le conseguenze della nostra scelta di denunciare il malaffare che, per chi ha lavorato nel privato, lo ha costretto ad interrompere la propria attività. Chiedo allo Stato di farsi carico dei versamenti previdenziali mancanti per far sì che domani, chi ha scelto un percorso di legalità, possa trascorrere serenamente almeno l’ultimo periodo della propria vita”.
Ignazio Cutrò – l’imprenditore edile di Bivona che denunciò il racket delle estorsioni facendo condannare i responsabili – è oggi presidente di un’associazione che raggruppa i testimoni di giustizia e lancia un appello alla premier Meloni e al ministro Piantedosi: “Non chiediamo privilegi, ma solo l’estensione della platea di beneficiari delle tutele previdenziali che lo Stato ha già riconosciuto alle vittime di mafia e terrorismo. Noi – continua Cutrò – non ci siamo sottratti agli obblighi di legge, ma abbiamo subito le conseguenze della nostra scelta di denunciare il malaffare che, per chi ha lavorato nel privato, lo ha costretto ad interrompere la propria attività. Chiedo allo Stato di farsi carico dei versamenti previdenziali mancanti per far sì che domani, chi ha scelto un percorso di legalità, possa trascorrere serenamente almeno l’ultimo periodo della propria vita”.