C’è un suono, familiare e doloroso, che scandisce il ritmo del Mezzogiorno e il futuro dei nostri giovani: lo stridere dei freni e il fischio di un treno che parte. Non è un treno come gli altri; è un convoglio carico non di merci, ma di un futuro che la terra madre non è riuscita a trattenere. È l’immagine potentissima scelta dal focus “Sud, la grande fuga”, realizzato da Censis e Confcooperative, per descrivere un dramma economico che è, prima di tutto, una ferita emotiva e sociale profonda.
Il focus Censis – Confcooperative “Sud, la grande fuga” mette i conti nero su bianco al Sud: 157 milioni di euro evaporati dalle casse degli atenei meridionali. Risorse che si materializzano altrove, nelle università del Centro-Nord, dove rette più salate (2.066 euro contro i 1.173 del Sud) hanno fruttato 277 milioni di incassi.
Il conto per le famiglie meridionali e della Sicilia? Altri 120 milioni annui di differenziale. Il Sud paga di più per vedere partire i propri figli.
La parabola del “treno senza ritorno” dei giovani siciliani
Questo esodo continuo di giovani che lasciano il Sud per studio o lavoro non è una statistica fredda; è la “perdita sociale, economica, demografica, culturale” che svuota interi paesi, lasciando dietro di sé solo silenzi e case vuote. È il “depauperamento silenzioso di risorse” che strappa via un pezzo della futura classe dirigente, trasformando ogni laurea in un addio.
Il Presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, commentando il focus, riassume la gravità del fenomeno con parole che risuonano come un atto d’accusa verso l’immobilismo: “C’è un treno che parte dal Mezzogiorno ogni giorno. È carico di sogni, talenti, futuro, ma non torna mai indietro. Un trasferimento di ricchezza che risale dal Sud prendendo la strada del Nord. L’esodo di 134.000 studenti verso le università del Centro-Nord non è solo una statistica: è una perdita sociale, economica, demografica, culturale. Un depauperamento silenzioso di risorse che svuota interi territori. Un pezzo della futura classe dirigente che se ne va, lasciando dietro di sé interrogativi sul destino del Mezzogiorno. Una fuga che al Sud costa oltre 4 miliardi”.
Il costo, misurato in 4,1 miliardi di euro, è impressionante, ma per comprendere la vera entità della crisi, dobbiamo zoomare su una delle regioni che paga il prezzo più salato in termini di talenti e identità: la Sicilia. L’Isola, con la sua ricchezza potenziale e le sue contraddizioni storiche, è il prisma attraverso cui analizzare l’impatto distruttivo di questa “grande fuga”.
Sicilia: la solitudine della valigia e il conto salato del futuro
Immaginiamo un giovane ingegnere siciliano, fresco di laurea. La gioia per il traguardo raggiunto si scontra subito con una realtà amara: le offerte di lavoro sul territorio sono rare, sottopagate o non all’altezza della sua preparazione. È il momento in cui l’investimento di una vita – il suo, dei suoi genitori, della sua terra – si svaluta. Per dare valore a quel pezzo di carta, l’unica soluzione è prendere quel treno.
E l’impatto di questa emorragia sul capitale umano è palese. Nelle tre aree metropolitane della Sicilia (Palermo, Catania e Messina), solo due giovani su dieci (sotto i 40 anni) possiedono una laurea. Si tratta di un dato che dimezza la media del Centro-Nord, dove i laureati sono quattro su dieci. In province come Siracusa, la percentuale crolla al 15,2%, la più bassa in Italia. Questi numeri non raccontano solo di chi parte, ma anche di un tessuto sociale e produttivo che si sta impoverendo a ritmi allarmanti. La Sicilia sta perdendo non solo i suoi lavoratori, ma i suoi futuri imprenditori, i suoi ricercatori, i suoi leader sociali.
A monte dell’esodo lavorativo c’è, spesso, quello studentesco. Un giovane siciliano che decide di studiare a Milano non solo cerca un’istruzione percepita come più competitiva, ma sta già costruendo il suo futuro lontano. Questa dinamica si riflette direttamente sugli atenei locali: l’Università di Catania, ad esempio, ha registrato un calo di immatricolati pari al -9%. Eppure, c’è una beffa in questo scenario: la Sicilia è tra le regioni più virtuose nel garantire il Diritto allo Studio, con una copertura delle borse che sfiora il 97,2%.
La radice del problema risiede in un deficit di opportunità qualificate e in un gap strategico. I laureati in discipline STEM nel Sud (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) rappresentano appena il 22,4% del totale nazionale. La Sicilia, pur mostrando un potenziale latente con circa 700 startup innovative (l’ottava regione in Italia), non riesce a farle crescere.
La bassa capitalizzazione e la carenza di fondi d’investimento strutturati bloccano la possibilità per queste imprese di assorbire e pagare adeguatamente il talento locale. Senza ecosistema, il talento migra, condannando l’Isola a finanziare la crescita delle metropoli del Nord.
Il costante drenaggio finanziario e sociale delle risorse del Mezzogiorno
La Sicilia è una tessera di un mosaico più ampio e altrettanto doloroso. L’analisi si sposta ora a guardare l’intero Mezzogiorno come un sistema costantemente drenato di risorse, in un meccanismo che potremmo definire un sifone finanziario.
Il focus Censis-Confcooperative ha il pregio di aver messo a nudo i conti, dimostrando come l‘emigrazione sia un sistematico trasferimento di ricchezza che risale dal Sud.
Il flusso di 134.207 studenti che ogni anno si sposta dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord non è solo una migrazione di persone, ma di capitali:
- Perdita per gli Atenei del Sud: L’allontanamento di questi studenti ha causato l’evaporazione di 157,4 milioni di euro in tasse dalle casse delle università meridionali. Il saldo netto è un passivo di -145,4 milioni di euro.
- Guadagno per gli Atenei del Nord: Questo denaro si è materializzato nelle università del Centro-Nord, che hanno incassato 277,2 milioni di euro. Un guadagno amplificato dalle rette medie più salate (media di 2.066 euro contro i 1.173 euro del Sud).
Il risultato di questo meccanismo è un netto saldo positivo di 256,1 milioni di euro a favore degli atenei del Centro-Nord
Ma il danno non è solo erariale, è familiare. Oltre al costo per le casse universitarie, le famiglie meridionali sono costrette a sostenere una spesa aggiuntiva annuale di 119,8 milioni di euro (quasi 120 milioni). Questo differenziale è dovuto alle rette più alte, ai costi di affitto e al mantenimento fuori sede.
La frase del report suona come una condanna amara e ingiusta: “Il Sud paga di più per vedere partire i propri figli”.
Le destinazioni sono polarizzate: Roma attrae 32.895 studenti dal Mezzogiorno (il 16,4% dei suoi iscritti), seguita da Milano (19.090) e Torino (16.840). Queste città diventano il palcoscenico dei sogni del Sud, mentre le province di origine si svuotano di forze fresche.
Se c’è una flebile speranza, è racchiusa nella “contro-migrazione”: poco più di 10.000 giovani si spostano dal Centro-Nord verso il Sud per studiare. Tuttavia, il report la definisce “debole”. Per quanto questo flusso sia un segnale positivo e porti un piccolo risparmio in termini di tasse, non riesce minimamente a compensare l’effetto valanga della fuga in senso opposto.
Il Sud, in definitiva, rimane un debitore costante nei confronti del resto del Paese, incapace di capitalizzare l’investimento più prezioso: la sua gioventù.
4,1 miliardi: il costo al Sud dell’immobilismo e del “sogno infranto”
Il momento in cui la crisi del Sud raggiunge il suo picco economico e morale è con la migrazione post-laurea, l’atto finale della “fuga dei cervelli”. Qui, il costo non è più solo in tasse universitarie, ma nel valore cumulato dell’istruzione di una vita.
Il dramma si estende a 36.000 giovani ad alta qualificazione che ogni anno scelgono come approdo lavorativo il Centro-Nord o l’estero. Questi giovani sono stati “formati con risorse meridionali, [ma] valorizzano le proprie competenze lontano dai luoghi che hanno investito nel loro futuro”.
La cifra che fa tremare è il costo unitario: ogni laureato rappresenta un investimento complessivo (pubblico e privato, dall’elementare all’università) di 112.240 euro. Moltiplicando questo valore per il flusso annuale, si arriva alla cifra che definisce il costo dell’immobilismo: 4,1 miliardi di euro.
- I 13.464 laureati che hanno scelto l’estero nel 2024 equivalgono a 1,5 miliardi di euro di investimento sprecato.
- I 23.401 laureati che si sono trasferiti al Centro-Nord nel 2022 pesano per 2,6 miliardi di euro.
Questi sono “Soldi investiti dal Sud per formare una classe dirigente che poi sceglie di restituire altrove il proprio know how”. Questo è il vero tradimento: la percezione di essere stati formati non per costruire in patria, ma per arricchire un altro mercato.
Culturalmente, questo fenomeno crea una frattura generazionale e un senso di impotenza. La Sicilia e il Sud sono condannati a vivere in uno stato di attesa, con le migliori energie intellettuali costrette a guardare la propria terra da lontano.
La perdita di laureati in settori cruciali come STEM (dove il Sud è in deficit di 11 punti percentuali) e la bassa incidenza delle startup innovative (solo il 28,3% del totale nazionale) sono la diretta conseguenza di questa emorragia. Non si perdono solo persone; si perde la massa critica necessaria per l’innovazione, la ricerca e la competitività globale.
Eppure, come suggerisce il report, il Mezzogiorno “non è un deserto”. Possiede asset e potenzialità che, se stimolate, potrebbero interrompere il circolo vizioso. La chiusura di questo dramma, non può che essere un appello urgente all’azione.
Le proposte: come fermare la partenza del treno e restare in stazione?
In merito, le dichiarazioni del presidente di Confcooperative Gardini, commentando il focus, già indicano in maniera chiara quali proposte portare per invertire la rotta e la base di un piano d’azione che, se implementato con determinazione, potrebbe trasformare l’emorragia in un’opportunità di ritorno. Per la Sicilia, questo piano deve tradursi in tre assi strategici che puntino a creare, non solo a trattenere.

1. Investire in innovazione: dalle Startup alle Scale-up
Il problema delle 700 startup siciliane non è la loro nascita, ma la loro crescita. Per trasformare queste imprese in motori occupazionali in grado di competere con Milano e Torino, è cruciale superare la bassa capitalizzazione e la carenza di fondi:
- Azione: Creazione di un Fondo Regionale di Venture Capital a partecipazione pubblico-privata, con il mandato specifico di finanziare scale-up siciliane (aziende in forte crescita) nei settori ad alta tecnologia.
- Obiettivo: Creare un polo di attrazione per investimenti esterni, garantendo che le startup abbiano il capitale necessario per offrire stipendi in linea con il Nord, neutralizzando così la spinta all’esodo.

2. Formare in ambiti strategici: il Competence Hub STEM
È essenziale colmare il deficit di STEM (22,4% nel Sud) che condanna la regione alla marginalità tecnologica.
- Azione: Potenziamento e specializzazione delle facoltà universitarie (Ingegneria, Informatica, Biotecnologie) attraverso cattedre dedicate e finanziamento di Dottorati di Ricerca industriali.
- Obiettivo: Estendere e istituzionalizzare iniziative come il CHS – SICILY dell’Università di Palermo. Questi Competence Hub STEM devono agire come centri di formazione avanzata e come agenzie di collocamento specializzate, con l’impegno vincolante di trovare lavoro qualificato in Sicilia per almeno il 70% dei laureati formati. Questo è l’unico modo per far sì che il sistema dell’istruzione e della ricerca sia la “unica via per collocare il Mezzogiorno sulla frontiera tecnologica”.
3. Aprire finestre internazionali per l’attrazione di talenti

Per diventare competitiva, la Sicilia deve smettere di guardare solo all’interno.
- Azione: Lancio di un programma di visiting professor e research fellowship finanziato dal PNRR, mirato ad attrarre ricercatori di fama internazionale nelle università siciliane per brevi e lunghi periodi.
- Obiettivo: Creare un effetto calamita che, oltre a elevare la qualità della ricerca locale, generi una “migrazione di ritorno” di talenti siciliani all’estero. Solo così si potrà garantire che la futura classe dirigente, formata con il sacrificio del Sud, scelga di restituire il proprio know-how alla terra che ha investito in essa.
La posta in gioco è troppo alta, quantificata in 4,1 miliardi di euro e in innumerevoli storie spezzate. Fermare quel treno non è un atto di assistenzialismo, ma un imperativo economico e morale.
Il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini, in merito a questo aspetto, trasforma il grido d’allarme in una precisa indicazione di rotta: “La strada per invertire la rotta esiste: investire in innovazione, formare in ambiti strategici, aprire finestre internazionali. Il sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca è l’unica via per collocare il Mezzogiorno sulla frontiera tecnologica e restituirgli competitività. L’unica strada – conclude Gardini – per non continuare a guardare quel treno partire senza ritorno”.
FONTE DATI: Rapporto Censis-Confcooperative – “Sud, la grande fuga”
NOTA METODOLOGICA
Il focus “Sud, la grande fuga”, è un report realizzato congiuntamente dal Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) e da Confcooperative. L’obiettivo principale dell’indagine è fornire una quantificazione rigorosa del costo economico e dell’impatto sociale strutturale causato dall’esodo di studenti e laureati dal Mezzogiorno d’Italia.
La metodologia di ricerca adottata si basa sull’integrazione di stime proprietarie Censis con dati provenienti dalle principali fonti statistiche nazionali e internazionali.
Le fonti ufficiali utilizzate per l’elaborazione dei dati includono l’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) per l’analisi dei flussi migratori e demografici, l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) per la comparazione dei costi dell’istruzione e la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) per il contesto economico.
Il report si articola attorno a due calcoli cardine:
- La stima della perdita economica di 4,1 miliardi di euro, ottenuta moltiplicando i 36.000 laureati in uscita ogni anno per il costo cumulato (pubblico e privato) di 112.240 euro per l’intero ciclo formativo di ogni laureato.
- L’analisi del trasferimento di ricchezza indotto dalla mobilità dei 134.000 studenti universitari, che misura il saldo negativo di tasse per gli atenei del Sud e i costi aggiuntivi imposti alle famiglie meridionali.




