Carissimi,
A cosa dovrebbe servire l’amicizia, se non alla condivisione di passioni, sentimenti, opinioni e persino di quelle sensazioni che, a volte, non riusciamo nemmeno a spiegare?
Parlare senza mezzi termini in un gruppo di persone fidate, vantandosi magari di cose non proprio corrette, talvolta borderline, sperando che quanto detto – come si suol dire – “rimanga tra di noi”.
Eppure oggi parlare è diventato complicato; dialogare, poi, quasi un lusso. La televisione di bassa lega e i social network hanno modificato così profondamente i nostri costumi da concedere visibilità – e, ahimè, coraggio – anche a individui che, prima, nessuno avrebbe mai pensato di far esibire in pubblico. Il risultato? Hanno scoperto di esistere.
Riconoscerli non è difficile: c’è sempre quel luccichio sospetto negli occhi, quella scintilla che segnala l’avviamento di un cervello “aggrippato”. Prima ancora che parlino, è evidente che non stanno realmente ascoltando ciò che diciamo: sono già pronti a intervenire, spesso in contraddizione, talvolta fuori tema, sempre con sorprendente sicurezza. Un talento naturale.
Così abbiamo perso il dialogo; così abbiamo perso l’uditorio fidelizzato.
Gli ambienti quotidiani sono affollati di individui silenziosi, sempre in ascolto, pronti a registrare, riportare – e, naturalmente, travisare – ogni frase udita. Sono persone che commerciano con le opinioni altrui, vendendole a chi può trarne vantaggio e traendone a propria volta un piccolo tornaconto: un’antica attività umana, oggi declinata in chiave moderna.
Questi sono i delatori.
Una volta bastavano un orecchio teso e molta cattiveria; oggi, invece, la concorrenza tecnologica li ha messi in crisi. Microfoni, telecamere, telefoni, computer, droni e satelliti hanno reso superflui i loro servigi. Siamo osservati di continuo: ciò che diciamo, ciò che pensiamo, ciò che scriviamo resta lì, conservato, pronto per essere utilizzato nel momento più opportuno, cioè quando avremo superato la “misura” – che varia, naturalmente, a seconda dell’ambiente.
Sarebbe prudente fare un piccolo controllo prima di parlare, un “uno, due, tre… prova”, per capire chi ci stia ascoltando. E domandarci, con un minimo di onestà: “chi siamo… e soprattutto quanti siamo?”.
Ora, al di là dell’importanza che le intercettazioni hanno avuto nella scoperta delle responsabilità di gravi nefandezze, rimane sempre il rischio che, se usate fuori mandato, finiscano per diventare uno strumento – in mani sbagliate – per fare del male, esporre vicende private e diventare materia d’uso per i delatori.
La tecnologia, dunque, ha assestato un notevole colpo all’attività dei delatori di professione, al punto che – in un mondo più coerente – potrebbero persino rivendicare un risarcimento per concorrenza sleale.
I delatori sono una categoria storica, quasi antropologica: coloro che denunciano tradendo la fiducia, gli “informatori” di una volta, o – per essere più diretti – gli spiuni. Il termine “delatore” deriva dal latino delator, “colui che riporta”: una definizione perfetta, che oggi potremmo quasi inserire in un manuale delle professioni scomode.
Del resto, basterebbe ricordare con quanta malvagità e quante ricchezze furono sottratte agli ebrei durante le deportazioni, grazie a delazioni compiute per mera avidità. Una felicità costruita sulla disgrazia altrui è notoriamente poco stabile, e chi sceglie tale strada si ritrova inevitabilmente circondato dai propri fantasmi. Non sono una compagnia gradevole.
Di contro, sappiamo bene che chi non fa nulla di male e rispetta il prossimo e le regole non teme nulla: può permettersi di parlare apertamente e non teme la presenza dei delatori, sebbene costoro, talvolta, possano essere spergiuri e rovinare l’esistenza di molta brava gente.
La vita ci pone sempre davanti a dei bivi. Le scelte che facciamo – e quelle che evitiamo – costruiscono le nostre conseguenze.
La saggezza popolare ci insegna che, se è vero che “non sempre ride la moglie del ladro”, è altrettanto vero che è bene “non confidare un segreto al tuo amico, perché un giorno potrebbe diventare il tuo nemico”.
La natura umana è complessa, mutevole e spesso recidiva: sbagliamo nello stesso modo per mancanza di memoria, o forse per eccesso di presunzione.
A tutti quei moderni Dottor Faust che sono pronti a vendere l’anima per compiacere il proprio ego, anche a discapito del prossimo, direi una sola cosa: fate pure. Io non vi ammirerò.
E ricordate che “buontempo e maltempo non durano tutta la vita”: prima o poi, un delatore più infelice o meno pagato degli altri vi riporterà bruscamente alla realtà. E voi, invece di maledire la vostra condotta, darete la colpa al diavolo.
Ma il diavolo, in tutta questa storia, è l’unico che svolge semplicemente il proprio mestiere.
A noi resterà solo l’amara soddisfazione di dire, con la solita espressione stupita che accompagna ogni disillusione:
“Non me lo aspettavo…”




