Carissimi,
il telefono cellulare nacque con l’idea di poter comunicare senza essere legati a un apparecchio fisso e, diciamolo, anche per ostentare un certo prestigio davanti ad amici e rivali di lavoro. Così pensò Martin Cooper quando “indossò” il primo apparecchio portatile e, dalla strada, telefonò al suo concorrente invitandolo ad affacciarsi per guardarlo.
Da quel momento alle nostre latitudini tutti i parvenue sentirono il bisogno di averne uno, per far capire che se lo potevano permettere e che potevano sostenerne le esose tariffe.
Il mondo, pian piano, si riempì di enormi telefoni con antenna: tutt’altro che portatili, certo non da tasca. Fu così che iniziò la diffusione di questo strumento… ancora per poco “innocente”.
Poi arrivò lui: il “demoniaco” Steve Jobs, che con il suo iPhone rivoluzionò la telefonia mobile. Produsse in massa smartphone apparentemente “alla portata di tutti”, creando di fatto un computer tascabile capace di fare qualunque cosa: collegarsi a Internet, fotografare, filmare… e, alla fine, anche telefonare.
Con la scusa che adesso potevamo chiamare chiunque “aggratis”, senza scatti, senza consumi e senza sentirci dire “ti richiamo io”, ci siamo tutti comprati questo benedetto coso.
E così l’umanità è diventata connessa ventiquattr’ore su ventiquattro… ma molto più sola.
Perché accadeva questo: invece di parlare con chi avevamo davanti – carne, ossa – ci mettevamo a parlare con qualcuno a mille chilometri, manco fosse questione di vita o di morte.
E così, in mezzo allo stesso salotto, allo stesso autobus, alla stessa panchina… ognuno nel suo mondo, ognuno a farsi compagnia da solo.
Stavo riflettendo sull’effetto che il telefonino ha oggi nelle nostre vite.
È un dato di fatto: l’iPhone è entrato nel nostro costume quotidiano. Non esiste più film o serie televisiva in cui il telefono non compaia come protagonista e, spesso, come strumento risolutivo di tutto.
L’iPhone ti aiuta a condurre indagini, ti salva la vita, trova tracce di qualunque reato, diventa arma, videocamera, archivio permanente di istanti storici e – forse, se rimane carico – anche telefono.
Quello che doveva essere un “telefonino mobile” è diventato invece il nostro strumento di controllo, di tracciamento, la nostra “cimice portatile” che, anche da spento, registra conversazioni, incluse quelle imbarazzanti o compromettenti.
Oggi tutte le indagini si basano sulle intercettazioni telefoniche.
Non c’è arresto (esclusa la flagranza del disperato che ruba per strada) che non derivi da una telefonata intercettata.
Abbiamo accettato di portarci addosso una “spia”, un “nemico” che può tradirci in qualunque momento. Altro che aiuto.
Abbiamo venduto la nostra libertà comprandoci, con i nostri soldi, un “Grande Fratello portatile”, e ci vantiamo pure della sua potenza, finanziando con entusiasmo il nostro stesso controllo.
Quanta acqua è passata sotto i ponti da quel messaggio di cinque secondi: “A po’ calari a pasta.”
Sì, il disagio di cercare i gettoni o, dopo, le monetine è superato; ma vuoi mettere la romantica vista di una cabina telefonica? La usavi quando serviva, poi ognuno tornava per la sua strada.
E la gente, quando attraversava la strada, pensava a non farsi investire, non a rispondere a un messaggio vocale.
Torneremo indietro? No. Impossibile.
È più probabile che ci ritroveremo con un chip sottocutaneo, come gli animali allo zoo, ma con ben altre funzioni. Diventeremo sempre più “automi flashati e sempre connessi”, mentre i robot velocizzeranno i nostri lavori.
Sembrerebbe la trama di un romanzo di Asimov.
Ma guardando indietro, prima dell’avvento dei cellulari, chi avrebbe mai immaginato dove saremmo arrivati?
E comunque, nel frattempo… “A po’ calari a pasta!”
Un abbraccio,
Epruno




