A Palermo l’autentica atmosfera natalizia la si vive stretti attorno ad una tavola imbandita di tante leccornie, tra le quali trionfa regalmente un dolce a forma di ciambella, dal gusto intenso e dal profumo inconfondibile, “U Cucciddatu”.
Per un palermitano, il rito delle festività è come se restasse sospeso senza il buccellato, come restare orfani di una vera identità. In epoca romana il buccellato già esisteva in una versione primordiale, infatti i romani, che erano abili panificatori, realizzavano un pane arricchito con del miele, i fichi e le mandorle a cui davano una forma tonda come una ciambella. In latino il termine “buccellatum” richiamava appunto la ciambella e al contempo anche l’atto di trasformare il pane in “buccelli” ossia in bocconi. Un’altra etimologia farebbe derivare il buccellato dal nome della tromba ricurva usata dai legionari romani “la buccina”.
La vera consacrazione del buccellato si ebbe in epoca medievale e precisamente nel 1485, anno in cui in un documento si ebbe la prima menzione ufficiale del dolce dal forte spirito italiano. Infatti in pochi sapranno che di buccellati ne esistono diverse versioni, accanto a quella palermitana oggetto di questo approfondimento, esistono anche la versione toscana e precisamente lucchese e quella ligure, di Genova. Soffermandoci sulla versione lucchese, la tradizione ci tramanda la prima versione di un buccellato non ancora dolce per come lo si conosce oggi e importato addirittura da paesi nordici. Fu proprio la presenza di una comunità lucchese in Sicilia e precisamente a Palermo, a far apprezzare la versione embrionale del buccellato. Successivamente la ricetta si perfezionò per merito delle numerose influenze dovute alle dominazioni.
Oggi il buccellato palermitano è un prodotto tipico appartenente allo smisurato panorama della produzione dolciaria dell’isola e insignito a livello ministeriale del prestigio di essere presente nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.). Un prestigio che profuma di storia e tramanda le numerose impronte lasciate dalle dominazioni intercorse. Un’epoca iconica nel suo genere fu quella arabo normanna, nella quale la commistione di usanze e tradizioni fu generatore di uno stile unico, traslato anche nella cucina. In special modo gli arabi, dalla loro proverbiale abilità a conservare la frutta per mezzo dello zucchero, lasciarono in eredità la canditura e dal grande talento commerciale fecero apprezzare, già in epoca medievale, spezie come la cannella, i chiodi di garofano e la noce moscata. Il buccellato palermitano si fregia infatti di una miscellanea di note aromatiche speziate (cannella, chiodi di garofano, facoltativamente noce moscata e pepe) e della presenza roboante della frutta candita come il cedro e la clementina senza dimenticare il miele.
Il tutto viene arricchito dai fichi secchi, dalle mandorle e dalle noci e infine anche dal cioccolato. Ad avvolgere il gustoso ripieno ci pensa una friabile pasta frolla che come da tradizione viene realizzata con lo strutto. La versione apprezzata sulle tavole di oggi prevede anche l’uso del Marsala o di altro vino liquoroso. Prima di infornare c’è un rigoroso rito da compiere, la pasta frolla viene pizzicata e bucherellata con un’apposita pinzetta che ricama sulla sommità del buccellato un decoro a lisca di pesce, lasciando intravedere il ricco ripieno. Un gesto che tanti pasticceri compiono solo per decorare, evocatore esso stesso della regalità del buccellato, il quale proprio in epoca romana simboleggiava anche una corona i cui fori servivano per appenderla e trasportarla durante le campagne di guerra. Ed è così che nasce “u cucciddatu”, boccone dopo boccone è come sentire riecheggiare lo squillare delle trombe dei legionari romani ad annunciare il Natale, tra le calde note di cannella e chiodi di garofano, lo scricchiolio di gherigli di noce e lo scintillio colorato della frutta candita.




