“Dopo che Falcone venne a Roma a fare il direttore generale degli Affari penali e dopo il decreto con cui riarrestammo tutti i condannati del maxiprocesso arrivarono segnali forti, tramite i Servizi Segreti, che annunciavano una reazione violenta della mafia. Chiesi di essere convocato d’urgenza in Parlamento ma paradossalmente mi si disse che avrei dovuto chiedere scusa per avere creato tensione. Io ribadii la serietà dei segnali che avevamo ricevuto e misi comunque tutti i questori e i prefetti in massima allerta”.
Lo ha raccontato Vincenzo Scotti, ex ministro dell’Interno, alla Commissione regionale Antimafia che ha aperto una inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio.
“Anche parte del mondo giudiziario e investigativo reagì come se avessimo esagerato. – ha aggiunto – In sostanza a quel punto io chiesi: vogliamo conviverci con la mafia o le facciamo la guerra?”
Scotti ha anche raccontato che dopo il suo passaggio al ministero degli Esteri – al suo posto al Viminale fu nominato Nicola Mancino – il suo capo di gabinetto gli disse che gli era stato chiesto di riferirgli di non interferire più in questioni legate alla mafia. Lui, però, non avrebbe chiesto da chi fosse venuto il suggerimento.
“Non seppi che il Sisde aveva ricevuto la delega operativa sulle indagini”, ha precisato Scotti.
VULLO: “A UN PASSO DA VERITÀ SI MESCOLANO LE CARTE”
“Quando si arriva a un passo dalla verità capita che si torna indietro e le carte tornano a mescolarsi. Speriamo non accada anche questa volta. Borsellino merita la verità“. Lo ha detto Antonino Vullo, poliziotto unico sopravvissuto alla strage di via D’Amelio, sentito dalla commissione regionale Antimafia che indaga sul depistaggio delle indagini sulla strage, dopo le dichiarazioni del killer catanese Avola che ha fornito particolari nuovi sull’eccidio.
La Procura di Caltanissetta ha contestato l’attendibilità del dichiarante. Vullo ha ricostruito gli ultimi istanti prima dell’esplosione che uccise il magistrato e la scorta. “Con un’auto impiegata per la bonifica e i cani dell’unità cinofila forse la strage si sarebbe potuta evitare”, ha detto.
Vullo ha ricordato gli attimi in cui il magistrato scese dalla macchina per citofonare al portone della madre in via D’Amelio. “Lo sportello dell’auto era chiuso – ha raccontato – Borsellino non ha preso nulla con sè. Ha pigiato il citofono ma siccome il portone rimaneva chiuso è sceso dal marciapiede ed è rimasto circondato dagli agenti”. Secondo Vullo qualcosa nella pianificazione inizialmente sarebbe andata storta perché l’esplosione, che poteva essere innescata proprio quando Borsellino e i suoi erano immobili in attesa che si aprisse il portone, ebbe un ritardo.
L’agente di scorta, infine, ha detto che certamente il magistrato non aveva con sé l’agenda rossa dopo essere sceso dalla macchina.