“Bonafede mi propose di fare o generale o capitano. Mi disse decida in fretta e mercoledì chiedo fuori ruolo a Csm. Il ministro mi disse che voleva farmi una proposta: aveva pensato a me o come capo del Dap, e disse che se accettavo la nomina avrebbe avuto effetti immediati, o come direttore affari penali, ma mi specificò che il ministro uscente, Orlando, aveva ‘molto scorrettamente’ dopo le elezioni nominato la dottoressa Donati, questo secondo incarico mi sarebbe stato attribuito a settembre, ottobre, se nel frattempo lui avesse convito Donati a rinunciare”.
Lo ha detto nel corso della sua audizione in Commissione Antimafia, Antonino Di Matteo, consigliere del Csm spiegando come si svolsero i fatti.
“Nel giugno 2018 ricevetti la proposta di assumere la direzione del Dap, ricordo che ricevetti una telefonata alle 13 dal ministro Bonafede. Lo avevo incontrato prima solo 2-3 volte e scambiato conversazioni superficiali. Il 18 giugno ero magistrato alla Procura nazionale antimafia ed io quel giorno ero a Palermo. Mi disse – ha proseguito – che quella nomina avrebbe avuto alto valore simbolico perché incarico ricoperto prima dal dottor Giovanni Falcone. Mi propose, sostanzialmente, o di fare il generale subito e certamente, oppure di accettare un ruolo futuro di capitano se avesse convinto la Donati ad abbandonare il ruolo che le era stato attribuito. Quella telefonata secondo me è importante Io chiesi al ministro 48 ore di tempo per dare una risposta, il ministro mi disse che voleva una risposta veloce perché voleva inoltrare subito al Csm la richiesta di collocamento fuori ruolo, perché avrebbe voluto sfruttare il plenum del mercoledì successivo. “48 ore sono troppe, mi dia una risposta prima”.
“Il ministro Bonafede, dicendomi che per l’incarico alla Direzione Affari penali non c’erano dinieghi o mancati gradimenti mi fece intendere che per la soluzione di capo del Dap aveva ricevuto prospettazioni di diniego o di mancato gradimento. A cosa si riferisse non e’ compito mio, lo potrebbe dire solo il ministro – ha aggiunto -. Per me quindi il dietrofront del ministro avvenuto in meno di 24 ore non era più una vicenda personale, ma una vicenda istituzionale”.