Le parole sono importante veicolo di verità soggettive, di sentimenti dolorosi se non di positività, amore e gioia. Oggi vi lancerò una patata bella bollente perché proverò ad analizzare al meglio un lemma noto non soltanto agli innamorati: la gelosia. Prima di attingere alle mie competenze psicoanalitiche, psicopatologiche e metamediche ritengo opportuno soffermarci sul suo significato etimologico che trovo a dir poco interessante! Deriva, infatti, dal greco “zelos” che nasconde vari concetti, come ci conferma il dizionario Olivetti:
- zelo, ammirazione, vivo desiderio, ambizione, passione per qualcosa/qualcuno
- oggetto d’ammirazione e di desiderio, fortuna
- invidia, gelosia; avversione verso chi è (o sembra) preferito a noi
- emulazione, imitazione
- ira
- impeti d’ira
Si tratta, dunque, di una parola tanto comune ma altrettanto complessa nei suoi significati e significanti. La radice è la stessa: il timore di perdere qualcosa o qualcuno a cui si è legati, la tendenza umana all’attaccamento e il bisogno, non sempre sano, di possesso ovvero del rassicurante senso che dà la stabilità connessa all’avere punti di riferimento certi e costanti.
La gelosia è, quindi, il sentimento di dubbio ansioso che si genera per motivi reali o immaginari oppure per bisogni eccessivi di conferme e rassicurazioni. Il timore di perdere l’altro è un motore positivo quando spinge a comportarsi nel modo migliore possibile per non ferirlo o non deluderlo ma può sottendere dei pattern cognitivi, affettivi e relazionali insani oltre che la consapevolezza, negata alla coscienza per proteggere l’Io da idee strazianti, che l’altro è infedele e sleale. Avere paura che il “congiunto” ci venga sottratto, di conseguenza, ci può stare ma entro certi limiti. Tornando alla radice semantica “zelo” essa conduce a una riflessione ulteriore in quanto cifra di passione. Così la gelosia genera anche frustrazione, rabbia, fino a sfociare in deliri paranoici e patologie organiche, come quelle legate agli sfinteri (la stipsi, per es.) che hanno lo scopo o il bisogno inconsapevole di trattenere, possedere, introiettare (Freud). Anche se si è “vittime” passive di malati cronici di gelosia non esiste casualità ma qualcosa da analizzare, elaborare, correggere o con cui fare pace dentro di noi.
Situazioni di rotture affettive vissute nel passato possono aver fatto nascere il timore di essere nuovamente abbandonati e causato una nevrosi dell’abbandono. La persona che ne soffre vive con l’angoscia di essere lasciata, cosa che la spinge a essere gelosa, controllante, paranoica, possessiva, soffocante, castrante, ricorrendo a suppliche, pianti, minacce (Claudia Rainville). Tutto questo corrisponde a patologie gastroenteriche, dermatologiche, etc.
La gelosia è indicativa di disturbi dell’autostima ed è presente in misura ridondante in coloro che provano invidia nei confronti degli altri, perché non si sentono sempre i migliori, non sono sempre attenzionati dal partner, non sono i più attraenti per lui/lei e utilizzano massicciamente meccanismi di difesa paranoidei per cui vedono il proprio amato/-a sempre insidiato da rivali. Nell’antica Persia, la gelosia era un marchingegno di legno o di ferro, una specie di persiana o serranda che si metteva alle finestre per lasciare passare la luce, per cui dall’interno si poteva vedere fuori ma da fuori non l’interno. Questi serramenti sono stati inventati dai mariti proprio per motivi di gelosia nei confronti delle mogli (Fausto Raso).
In conclusione, più si è sicuri di sé e si lavora sull’autostima, non si ha paura dell’abbandono e della singletudine, più si lasciano andare i dogmi e le convinzioni secondo cui a ogni costo dobbiamo preservare un rapporto dalla conclusione ma, al contrario, si accetta che l’amore è ciclico, se parliamo di coppie – può rinnovarsi o terminare -, che è normale non potere essere i figli unici, i più belli del reame o zelanti, più impareremo ad ascoltare il nostro istinto e a soddisfare i nostri bisogni sin da bambini e maggiore sarà la possibilità di utilizzare questo sentimento non per soffrire ma per valutare e comprendere meglio la situazione. Non è un errore pensare che la gelosia sia un campanello di allarme. Può trattarsi del risultato di complesse operazioni difensive interne che ci hanno fatto rilevare dei segnali di incompatibilità, di incongruenza, di “inizio della fine”, etc.
Personalmente, ritengo che la fiducia sia alla base di ogni rapporto e altro non è se non l’attribuzione di potenzialità conformi ai propri desideri, sostanzialmente motivata da una vera o presunta affinità elettiva ovvero da uno sperimentato o supposto margine di garanzia (Oxford Languages) ma significa anche aver fiducia nelle proprie forze e in quelle universali che spingono, non a caso, due individui a frequentarsi e a progettare (un incontro, un viaggio, un percorso di vita insieme). Se, malauguratamente, si iniziano a leggere fra le righe indizi di “distrazione” credo che la migliore cosa da fare per se stessi e per l’altro è, molto serenamente, accettare che si è giunti davanti a un bivio per cui si deve indurre tout court a una scelta perché è giusto che si richiedano certe attenzioni e privilegi.
La gelosia, per me, equivale a un punto di non ritorno: è il momento di salutare. E un saluto non deve essere intriso di gelosia, invidia e rabbia ma è un radioso augurio di essere felici ancora, insieme, soli o con un altro.