Siracusa nell’antichità diventò uno dei centri più importanti del Mediterraneo, il cui apogeo fu raggiunto nel IV secolo a. C. con il tiranno Dionisio il Grande. Ma già nel V secolo a. C. Siracusa iniziò ad accrescere il proprio peso nell’ambito della civiltà e della cultura greca.
Nei primi decenni del V secolo a. C. a Siracusa emerse la figura del tiranno Ierone o Gerone, celebrato, per le vittorie sportive e politico-militari, da alcuni dei più grandi poeti e letterati del tempo. Nell’estate del 476 a. C. Ierone di Siracusa vinse i giochi olimpici nella corsa dei cavalli a Delfi. Già nel 482 a. C. e nel 478 a. C. egli aveva vinto nei giochi pitici. Ierone, abile sportivo, nel 476 a. C. non soltanto in quell’anno si presentò per la prima volta alle Olimpiadi ma gareggiò in qualità di signore di Siracusa, succeduto al fratello Gelone. Una vittoria, quella di Ierone, ai giochi olimpici che era meritevole di celebrazioni.
Il nuovo tiranno di Siracusa intratteneva ottimi rapporti col grande poeta Simonide di Ceo, il quale spesso frequentava la tavola del signore siracusano che lo teneva in alta considerazione. Però a celebrarne la vittoria olimpica non fu Simonide ma un poeta più giovane, cioè Pindaro. Quest’ultimo compose un’ode trionfale pregevolissima a tal punto da essere considerata una delle sue composizioni meglio riuscite. Ode inserita nella raccolta delle “Olimpiche”. Ierone venne rappresentato come sovrano eccellente, depositario di “tutte le virtù”.
In generale, l’anno 476 a. C. fu molto importante per la Sicilia, dal punto di vista sportivo e politico. Fu l’anno in cui il tiranno di Agrigento Terone ottenne la vittoria olimpica nella quadriga. Anche questo evento venne cantato da Pindaro nelle “Olimpiche II e III”.
E nel 476 a. C. Ierone riuscì a prendere il controllo delle più importanti colonie calcidesi della Sicilia orientale: Catania, Lentini e Naxos. Ma c’è di più: il tiranno siracusano fece deportare a Lentini gli abitanti di Catania e Naxos, ripopolando la città etnea con circa diecimila soldati-coloni provenienti da Siracusa e dal Peloponneso, e ribattezzandola col nome Etna. Quindi, una vera e propria operazione non soltanto di trasformazione politica ma anche di trasformazione etnica e toponomastica. Ierone si attribuì il titolo di oikistes, cioè fondatore.
Pindaro celebrò la politica perseguita dal tiranno siracusano, consacrandolo a grande sovrano nella Pitica I e definendolo, nella dedica dell’ode, “Ierone Etneo”. Pindaro, nelle odi composte in onore di Ierone, riuscì a creare un forte intreccio tra storia, mito, trionfi sportivi e politico-militari in un grande quadro che coinvolge anche le divinità e l’Olimpo. E se l’Olimpo è padroneggiato da Zeus, il Tartaro è dominato dalla figura mostruosa di Tifone che popola gli abissi, costretto schiacciato a sopportare il peso dell’Etna e delle rupi di Cuma. È proprio Tifone che, a volte, attraverso la bocca del vulcano, erutta la lava del vulcano. Pindaro nell’ode ci regala, molto probabilmente, la più antica descrizione, giunta fino a noi, di una eruzione dell’Etna.
E non è un caso se il poeta nei suoi versi faccia riferimento all’Etna e a Cuma. Infatti, l’Etna è la città di origine calcidese rifondata da Ierone e nelle acque di Cuma, in Campania, venne combattuta nel 474 a. C. una delle battaglie navali più importanti per la storia della marineria greca, nell’ambito della quale Ierone riuscì a conseguire una formidabile vittoria contro la flotta etrusca. In sostanza, Pindaro richiamò due successi piuttosto significativi di Ierone. Ma non solo. Pindaro si spinse oltre, comparando la vittoria di Cuma a quella ottenuta da Gelone e Ierone sui cartaginesi nel 480 a. C. a Imera. E ancora, paragonò quelle vittorie a quelle ottenute dai greci a Salamina e Platea, rispettivamente nel 480 a. C. e nel 479 a. C., contro i persiani.
In questo modo Pindaro presentò Ierone come difensore del mondo e della civiltà greca contro i barbari, non diversamente dagli ateniesi, dagli spartani e dagli altri greci della madrepatria che avevano resistito ostinatamente agli attacchi persiani. Inoltre, il tiranno venne presentato quale garante dell’ordine e dell’armonia, come Zeus in cielo.
Un altro grande esponente della cultura greca dell’epoca, Eschilo, celebrò la rifondazione di Catania in Etna. Egli, ospite di Ierone (tra l’altro portò in scena l’opera teatrale i “Persiani” a Siracusa) celebrò il tiranno siracusano con il dramma le “Etnee”, nel quale venne reinterpretato il mito locale dei gemelli Palici, divinità sicule legate al vulcanesimo, facendoli diventare figli della ninfa Talia e di Zeus. In questo modo, i Palici vennero grecizzati, un modo per affermare e onorare la vittoria ottenuta da Ierone sui siculi, le cui terre, insieme a quelle dei calcidesi sconfitti, vennero distribuite ai nuovi abitanti di Catania-Etna. Eschilo fu fortemente influenzato dalla cultura greca di Sicilia come emerge in alcune sue opere, dove numerosi sono i termini sicelioti.
Ma anche un altro grande poeta frequentò l’ambiente di corte di Ierone, cioè Bacchilide, che nel 476 a. C. inviò un’ode, l’Epinicio V, al tiranno siracusano per celebrarne le vittorie. E fu sempre Bacchilide che in occasione della vittoria di Ierone con la quadriga nelle Olimpiadi del 468 a. C. lo celebrò nell’Epinicio III.
Durante la tirannide di Ierone, Siracusa non soltanto riuscì ad ampliare la propria potenza, estendendo il dominio su buona parte della Sicilia Orientale (circa un secolo dopo Siracusa divenne la prima potenza del mondo greco) ma la città iniziò a diventare punto di riferimento per i più grandi poeti, letterati e drammaturghi della civiltà ellenica, quali Simonide, Pindaro, Eschilo e Bacchilide. Grandi menti che fecero di Siracusa un simbolo imperituro della cultura greca ed europea.