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Fatture false per 4 milioni di euro: maxi sequestro nel Ragusano

mercoledì 22 Luglio 2020
Guardia finanza truffa frode fatture
foto d'archivio

Frode fiscale tramite l’emissione di fatture false per operazioni inesistenti per un importo di circa 4 milioni di euro a Vittoria, in provincia di Ragusa.

Sono stati i finanzieri del Comando Provinciale che, a seguito della scoperta, hanno eseguito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di oltre 1,5 milioni di euro su conti correnti, denaro, autovetture e immobili nella disponibilità di 2 società e di 2 degli 8 indagati denunciati, a vario titolo, per reati tributari.

Le indagini, condotte dai militari della Compagnia di Vittoria sono state avviate una denuncia presentata da un fornitore austriaco nei confronti del rappresentante legale di una società di Acate nel settore della produzione degli imballaggi in legno, per il mercato ortofrutticolo di Vittoria.

Lo schema fraudolento utilizzato dagli indagati era quello del ‘carosello fiscale’, attuato tramite triangolazioni tra le società coinvolte al semplice scopo di evadere l’Iva, con una dimensione transnazionale, visto il coinvolgimento, oltre che di sei imprese siciliane, anche di due società di diritto rumeno. L’imprenditore ragusano si è servito di ditte individuali e società cartiere aventi sedi formali tra Niscemi, Acate e Vittoria, ma di fatto tutte gestite dalla sua società con sede ad Acate risultata sempre l’effettiva beneficiaria degli acquisti di merce intracomunitaria.

Le imprese interposte, prive di struttura imprenditoriale, sono state utilizzate all’occorrenza per acquistare quantità di merce direttamente dai fornitori comunitari (austriaci e rumeni). In realtà la merce non veniva consegnata alla ditta che aveva effettuato l’ordine, ma direttamente all’effettivo destinatario, beneficiario della frode. La cartiera, quindi, veniva interposta facendo da filtro nelle transazioni commerciali tra i fornitori europei e la società operativa acatese, effettuando gli acquisti comunitari di beni, che poi risultavano rivenduti sul territorio nazionale, solo formalmente, perché la merce era già stata recapitata al destinatario finale. Nel frattempo, la società interposta si addossava, a seguito della fittizia rivendita, il relativo debito Iva, che poi non versava all’Erario.

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