“Questa brutta bestia è capace di toglierti tanto”: comincia così il racconto di Aurora, e del suo calvario vissuto tra casa, ospedali e Covid Hotel, per combattere (anche lei) la battaglia contro la malattia del secolo: il Coronavirus.
Pensionata e 68 anni il prossimo 7 dicembre, Aurora ha iniziato a stare male e ad avvertire i primi sintomi poco più di un mese fa; tutto è partito da un mal di gola, curato con farmaci omeopatici, ma dopo tre giorni la terapia di sempre non si rivela efficiente, e intanto la temperatura raggiunge i 38.5°, sopraggiunge la diarrea, il vomito, la mancanza assoluta di forze, l’inizio dell’inferno. Aurora non riesce più ad autogestirsi e sollecita ancora una volta il medico curante che finalmente compila la scheda da inoltrare alle autorità competenti.
“Il pomeriggio del 31 ottobre l’ambulanza giunge a casa mia; – racconta – una corsa ed eccomi al Centro Covid del pronto soccorso dell’Ospedale Civico di Palermo. Qui subito una Tac al torace, e la diagnosi: polmonite da Covid a vetro smerigliato”. Senza mezzi termini, la paziente si ritrova con il polmone sinistro seriamente danneggiato e il destro con qualche bolla; senza mezzi termini la paziente lotta tra la vita e la morte.
“Il pronto soccorso del Civico è come un campo profughi, con il personale sanitario che 24h su 24 si adopera alacremente per soddisfare le necessità di tutti i ricoverati. Quanti non ce l’hanno fatta, esalando l’ultimo respiro senza il calore e l’abbraccio di un proprio caro; non posso non pensare altresì alla desolazione del familiare che non sa più niente del proprio padre, del marito, del fratello”.
Aurora dorme poco, non mangia, sente freddo, ha continua fame d’aria e prende atto di una nuova fragilità, di un infinito senso di impotenza davanti “a un mostro così piccolo, subdolo e invisibile”. Dopo quattro giorni i medici le comunicano il trasferimento al Covid Hospital di Partinico, dove rimarrà per oltre una settimana.
“Mi sono vista proiettata in uno di quei film in cui i pazienti vengono storditi e messi a tacere per sempre; il personale però mi ha assicurato che lì sarei stata curata con maggiore professionalità, e allora la mia vulnerabilità si è fatta più mite. L’attesa per il ricovero è stata interminabile, e dopo ore finalmente ho avuto un letto riparato dalla corrente, lenzuola pulite, una coperta, il conforto dell’ossigeno”. Il SARS-CoV-2 però non si limita agli alveoli collassati, ti divora anche altrove, e non mancano i momenti di sconforto, di solitudine, la sensazione di un’intimità innegabilmente violata, gli inconvenienti dettati dalla convivenza forzata con degenti dell’altro sesso all’interno della stessa stanza; come se non bastasse, la diarrea che aveva caratterizzato i giorni del pronto soccorso, a Partinico ha dato spazio alla stipsi; i pasti sono uguali per tutti, e quello che poteva andare bene per un malato di diabete, per la donna era deleterio.
Il vero significato del coraggio è avere paura, e con ginocchia tremanti e cuore in gola, Aurora promette a se stessa che non deve mollare, perché fuori da quelle mura c’è la vita che l’aspetta; in sinergia con l’efficacia delle cure, piano piano comincia così a muoversi, cambia posture sul letto, annota quotidianamente i valori dei vari esami, sperimenta brevi passeggiate lungo i corridoi, fino a quando non arriva l’inaspettata notizia delle dimissioni.
“È stata una sorpresa per me – ammette – I valori di saturazione, pressione, enzimi epatici mi facevano pensare che sarei rimasta lì ancora diversi giorni e invece passai al San Paolo Palace per la quarantena. La RSA è stato un iniziale ritorno concreto alla mia privacy, a me, e di grande aiuto, senza non poche lotte per la mia alimentazione; dopo ripetuti solleciti, però, il personale ha soddisfatto le mie richieste con insalate, verdure e frutta, e pure lo spettro di blocco intestinale gradualmente è svanito”. Nel Covid Hotel palermitano di Via Messina Marine la 67enne riacquista nuove forze, continua a dare segni di miglioramento, i suoi passi si fanno meno incerti e martedì 17 novembre torna a casa, con tanto di tampone naso faringeo negativo.
“Il rientro mi ha fatto riscoprire un senso di benessere dimenticato, e tutto era lì ad accogliermi. Ogni tanto mi fermo perché ho un colpetto di tosse, o non riesco a respirare profondamente, poi mi riprendo. – conclude emozionata – Ho paura di non riuscire a guarire definitivamente, e mi manca la sicurezza di quello che sarà. Ma non demordo, seguo la terapia e vado avanti a piccoli passi. Potersi rialzare dal letto senza più quel malessere che avevo prima è già un miracolo”.