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Le cooperative siciliane a congresso per riflettere sul proprio ruolo

lunedì 18 Marzo 2019
Elio Sanfilippo
Elio Sanfilippo

Nei prossimi giorni si svolgerà il congresso delle cooperative siciliane che fanno riferimento alla Legacoop. L’avvenimento riveste una certa importanza perché è la prima associazione chiamata a riflettere sul suo ruolo, in un momento in cui sono in crisi tutte le tradizionali forme di rappresentanza.

In tal senso il congresso e il dibattito che lo animeranno potranno offrire elementi di riflessione e di stimolo anche alle altre associazioni. Tutti, dai sindacati a Confindustria, dal mondo del commercio e dell’agricoltura, all’artigianato e alla cooperazione, sono alle prese con la ridefinizione del proprio ruolo alla luce dei mutamenti non solo del mercato, ormai globalizzato, ma soprattutto dei cambiamenti culturali che hanno investito il lavoro e l’impresa.

Viviamo, infatti, una fase della nostra storia, carica d’incertezze e sfiducia con gravi preoccupazioni per il futuro del Paese e le associazioni fanno fatica a interpretare e dare risposte ai bisogni delle diverse categorie.

La Cooperazione non è estranea a questo stato d’animo della gente al punto che è venuto meno quel quadro di riferimento in cui la cooperazione era percepita dalla politica e dai cittadini come un valore positivo da tutelare e salvaguardare, come peraltro recita l’articolo 45 della Costituzione in cui la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione e ne promuove l’incremento.

Oggi è difficile fare cooperazione perché la politica e i governi non tengono più in conto il dettato costituzionale, tanto che da decenni non si legifera per “promuoverne l’incremento”, ma anche per una rimozione di ciò che la cooperazione ha rappresentato nella storia e nella crescita non solo economica ma civile e democratica del Paese.

Valori come la solidarietà, lo stare insieme, associarsi per realizzare progetti d’impresa che miglioravano, attraverso la cooperativa, le condizioni di vita e determinavano una ricaduta positiva nella comunità in cui la stessa operava, oggi sono messi in discussione dall’egoismo, dall’individualismo, dal corporativismo, da una frammentazione del corpo sociale.

Nel lavoro e nell’impresa ci si orienta, quindi sempre più verso l’individualismo e il rischio o la rassegnazione e la subalternità.

In una recente indagine alla domanda chi difende meglio il lavoro, una larga parte ha risposto dicendo che il lavoratore deve difendere da solo i propri interessi. Il sindacato si trova distaccato di molti punti!

Alla domanda che cosa preferisse come lavoro per i propri figli la risposta più frequente è stata: “ un lavoro in proprio”.

In materia di lavoro la parola più importante è stata “ la professionalità”, mentre i diritti sono relegati negli ultimi posti. Emerge da questa inchiesta un profilo del nuovo lavoratore che è molto attento al rapporto tra individuo e la prestazione lavorativa, che la professionalità è l’arma vincente per affermarsi, mentre sono lontane dai propri interessi le grandi organizzazioni sociali sia dei sindacati, sia dell’impresa e del lavoro autonomo.

E’ indicativo, inoltre che il sondaggio sia stato effettuato in Emilia Romagna e alla domanda quale occupazione ambirebbe trovare, non vi è alcun dubbio che se posta dieci anni fa la maggioranza avrebbe risposto “Entrare in una cooperativa”, mentre la risposta a favore della coop ha riguardato solo il 4% degli intervistati.

Conosciamo bene le conseguenze determinate dalla grave crisi economica che non ha risparmiato nessun settore anche quello cooperativo che, invece, proprio nei momenti ciclici di crisi dava il meglio di se stesso svolgendo una funzione anticiclica.

A questa crisi dell’economia si è accompagnata quella altrettanto grave: la crisi da ingiustizia provocata da un’ingiusta distribuzione della ricchezza che ha riguardato sempre più pochi gruppi e sempre meno il ceto medio e le persone più deboli.

Altro elemento di difficoltà nella rappresentanza degli interessi è la crisi del sistema politico e la risposta a questa crisi con un restringimento degli spazi di democrazia e partecipazione, mentre prima il processo democratico e la formazione delle decisioni vedeva le associazioni concorrere o in modo consultivo o concertativo.

I sindacati e le rappresentanze degli interessi, quelli che una volta si chiamavano i corpi intermedi, fondamentali per il funzionamento di una democrazia in una società complessa, sono considerati, un fastidio, un intralcio, una perdita di tempo, un atteggiamento che ha caratterizzato governi di centro destra che di centro- sinistra e che continua con quello grillino- leghista.

Altro errore che sindacati e associazioni hanno commesso è quello di ritenere di superare le difficoltà causate da questi mutamenti rinchiudendosi in se stessi, badando solo al proprio orticello, rinunciando a svolgere un ruolo di classe dirigente. Un ruolo che si esercita quando l’interesse di una categoria che s’intende difendere e rappresentare coincide con l’interesse generale del Paese.

Queste criticità e difficoltà sono, inoltre, più accentuate in Sicilia per la fragilità del sistema imprenditoriale e l’assenza di un mercato veramente libero da condizionamenti politici e mafiosi. A ciò si aggiunge la responsabilità della Regione che invece di puntare a uno sviluppo sano e duraturo imperniato sull’impresa ha preferito, e preferisce ancora, galleggiare con il ricorso al precariato e all’assistenzialismo e a spartirsi gli ultimi residui di spesa pubblica.

Da qui anche l’incapacità a spendere le rilevanti risorse europee in assenza di un progetto di sviluppo organico su cui concentrare tutte le risorse e gli investimenti pubblici e privati e assicurare il decollo economico e sociale dell’Isola. La centralità mediterranea sarà così soltanto una qualificazione geografica, priva di qualsiasi funzione propulsiva di cerniera tra l’Europa e i paesi del Mediterraneo.

E’ dunque tempo di riflessioni, ma anche di cambiamenti profondi da parte della politica. Anche l’imprenditoria, però, è chiamata a fare la sua parte e archiviare una storia in cui si è consentito che la parte sana sia stata sacrificata da quelle forze che hanno assecondato un modello di sviluppo parassitario che ha bruciato ingenti risorse pubbliche, con la complicità della politica e perfino del potere mafioso, cancellando il mercato, la libertà d’impresa, la competitività e l’innovazione.

Come aprire dunque una nuova stagione di speranza, rimettere in movimento idee, risvegliare passioni civili e voglia di fare! A questo compito sono chiamate le forze dell’impresa.

Cominciamo dalla cooperazione, un sistema d’imprese che crea redditività e profitti, che però deve coniugare con la dignità del lavoro, i diritti dei lavoratori, il bene della comunità, il rispetto della natura, dell’ambiente, della legalità e della moralità nell’agire economico. Valori che devono diventare patrimonio dell’intero sistema imprenditoriale siciliano.

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