IN ALTO IL VIDEO CON LE INTERCETTAZIONI
Corruzione, falso in atti pubblici e truffa aggravata ai danni dello Stato. Sono queste le accuse nei confronti di quattro funzionari del provveditorato regionale alle opere pubbliche, arrestati all’alba dalla squadra mobile, e di altre dieci persone, coinvolte nell’inchiesta denominata “Cuci e scuci”.
Gli arrestati sono Carlo Amato, Francesco Barberi, Antonio Casella e Claudio Monte. Per otto imprenditori è scattata l’interdittiva a lavorare con la pubblica amministrazione, mentre per altri due funzionari la misura della sospensione per un anno dal servizio. Tra gli indagati, Antonino Turriciano e l’assistente geometra Fabrizio Muzzicato sono sottoposti alla misura della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio per la durata di 12 mesi.
Gli imprenditori che non potranno contrattare con la pubblica amministrazione per 12 mesi sono Giuseppe Messina, nato ad Enna, di 67 anni; Filippo Messina, nato ad Enna, di 41 anni, Ignazio Spinella, nato a Marineo, 44 anni, Lorenzo Chiofalo, nato a Nardò (Le), 50 anni, Tommaso D’Alessandro, nato a Bagheria (Pa) di 55 anni, Giuseppe Giovanni Tunno, nato a Canicattì (Ag) di 55 anni; Franco Vaiana, nato a Palazzo Adriano (Pa) 80 anni, Giuseppe Pinto Vraca, nato a Castel’Umberto (Me) di 67 anni.
A far scattare le indagini la denuncia di un imprenditore edile incaricato di ristrutturare una scuola elementare di Casteldaccia, a cui sarebbe stata chiesta una tangente da parte di uno degli arrestati.
Al vaglio degli investigatori diversi lavori edili, fra cui quelli per la ristrutturazione di una caserma dei vigili del fuoco, di una della polizia e di un locale dell’agenzia delle entrate a Enna, ma anche gli appalti per la ristrutturazione della Chiesa di San Benedetto, a Barrafranca e per i lavori delle scuole “Piraino” di Casteldaccia, “Luigi Pirandello” di Villadoro (Nicosia), “Ansaldi” di Centuripe e “La Pira” di Sant’Alfio (Catania).
Secondo la sezione anticorruzione della squadra mobile, sarebbe stato “registrato uno stratificato sistema corruttivo, annidatosi nel settore degli appalti per opere pubbliche e che ha interessato un importante distretto ministeriale deputato a veicolare rilevanti fondi pubblici”.
Il sistema corruttivo, secondo gli investigatori, si basava essenzialmente su due aspetti, tra loro strettamente connessi: pagamenti di tangenti, corrispondenti a una percentuale pari a circa 2-3% dell´importo complessivo del finanziamento statale, che avrebbe consentito all´imprenditore di recuperare l’importo della tangente, attraverso l´inserimento di voci di spese fittizie o maggiorate nei documenti contabili, predisposti dai pubblici ufficiali: stato avanzamento lavori, certificato di pagamento e perizia di variante.
Altro vantaggio che avrebbero ottenuto i pubblici ufficiali, il cosiddetto rimborso di spese di missioni non effettuate e/o parzialmente falsificate. Infatti, spiegano gli inquirenti, “l’attività investigativa consentiva di scoprire un meccanismo illecito in base al quale i funzionari durante le missioni di servizio lucravano sui rimborsi spesa dovuti per il carburante e i pasti fruiti in quanto erano gli imprenditori a ospitarli nelle auto e ad omaggiargli i pranzi, nonostante i pubblici ufficiali presentassero richiesta di rimborso”.
Gli inquirenti lo hanno soprannominato il “sistema Amato”, portato avanti con spregiudicatezza e accortezza da Carlo Amato. I cellulari venivano lasciati ai colleghi, perché anche spenti possono essere intercettati, e si avanzava la richiesta di denaro.
La strategia di Amato non sarebbe stata condivisa da Casella e Muzzicato che teorizzavano invece una strategia più sottile e meno rischiosa. Secondo le ricostruzioni, per i due era opportuno che fossero gli imprenditori di loro iniziativa a fare “un regalo” come ricompensa per i favori ottenuti.
Favori che consistevano, oltre che in una celere trattazione del procedimento amministrativo propedeutico alla liquidazione dell’importo dei lavori appaltati, nell’adozione di una perizia di variante contenente costi ‘gonfiati’. In questo modo l’imprenditore si sarebbe sentito quasi in dovere di sdebitarsi con i pubblici ufficiali e loro avrebbero così potuto accettare con serenità il “regalo”, a meno di avere a che fare con un “bastardo” disposto a rivolgersi alle forze dell’ordine.
Amato, secondo l’ordinanza del gip, aveva chiesto senza troppi preamboli all’imprenditore Lorenzo Chiofalo 8 mila euro da dividere proprio con Casella e Muzzicato rispettivamente Direttore Operativo, e Ispettore di cantiere. “Onestamente – si legge sempre nell’ordinanza – avevo pensato di chiudere tutto il totale a 5 (cinquemila. ndr), in base ai conti che mi sono fatto“, risponde Chiofalo. “Veda lei – aggiunge Amato – mi pare poco, però sinceramente di primo cuore, perché dico, volevo dare tremila euro a tutti e due e 5 io, però.., ripeto non mi pare che siamo, siamo lontani dalle idee insieme”. A dicembre del 2017 arriva al provveditorato delle opere pubbliche la polizia. Sequestra documenti e notifica gli avvisi di garanzia ad alcuni indagati.
Tre dei quattro finiti ai domiciliari Franco Barberi, Antonio Casella e Claudio Monte, si riuniscono per capire chi li aveva traditi. Mentre parlano intercettati dalla squadra mobile cominciano un lavoro di distruzione di prove. “Questo – dice Barberi – che c’ha la fissa del..“. E Casella : “Del paladino della giustizia”. “Ma magari gli sparassero, conclude Monte“.
Insomma, quello scoperto dall’inchiesta della procura di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e pm Giacomo Brandini, Francesco Gualtieri e Pierangelo Padova, sarebbe un sistema ben oliato di tangenti che sarebbero giunte direttamente nelle tasche dei funzionari corrotti del provveditorato i quali, in cambio, avrebbero oliato le pratiche relative alle opere pubbliche.
I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura della Repubblica. A dicembre del 2017 era scattato un blitz degli agenti della Squadra Mobile di Palermo negli uffici del Provveditorato in piazza Verdi a Palermo. Un imprenditore aveva denunciato di avere subito pressioni da parte di alcuni funzionari e richieste di mazzette.
Erano stati notificati cinque avvisi di garanzia dalla sezione Reati contro la pubblica amministrazione della Mobile. In quell’occasione era stata anche sequestrata la documentazione riguardante alcuni lavori fatti a Palermo e provincia: al padiglione 18 dell’Università di viale delle Scienze, in un dipartimento di via Archirafi, in un appartamento delle forze dell’ordine e ancora alla caserma dei carabinieri di Capaci.
Sotto osservazione quattro lavori a Enna: per la sistemazione di alcuni immobili dei vigili del fuoco, dell’Agenzia delle Entrate e della caserma della polizia intitolata al commissario Boris Giuliano; sospetti di mazzette anche sulla ristrutturazione della Chiesa di San Benedetto, nel Comune di Barrafranca.
Sequestrata pure la documentazione che riguarda le scuole “Ansaldi” di Centuripe ( Enna), “Luigi Pirandello” di Villadoro (Nicosia), “Piraino” di Casteldaccia e “La Pira” di Sant’Alfio (Catania).
L’ambito toccato dall’indagine riguarda principalmente appalti pubblici finanziati con fondi del ministero Infrastrutture e Trasporti – in particolare per la cosiddetta edilizia scolastica – o di altri enti o ministeri, stanziati per lavori di ordinaria o straordinaria manutenzione di immobili dello Stato, utilizzati per fini istituzionali o di pubblica utilità.
Le indagini “hanno carpito la consegna di molteplici tangenti il cui importo corrispondeva all’incirca al 2-3% dell’importo complessivo del finanziamento statale. Il modus illecito adottato consentiva all’imprenditore di recuperare l’importo della tangente, attraverso l’inserimento di voci di spese fittizie o maggiorate nei documenti contabili, predisposti dai funzionari infedeli, restando di fatto a carico dello Stato”.
Gli appalti pubblici in questione riguardano 5 scuole situate nelle province di Palermo, Enna e Catania, un immobile confiscato alla criminalità organizzata e destinato all’Arma dei carabinieri per esigenze alloggiative del personale e un altro immobile destinato alla nuova Stazione dei carabinieri di Capaci.