La scarcerazione di Carola Rackete? Un errore madornale. Lo scrivono il Procuratore Luigi Patronaggio e i pm della Procura di Agrigento, nel ricorso presentato in Cassazione contro la mancata convalida dell’arresto della capitana della nave Sea watch, che le ha permesso di tornare in Germania.
La scarcerazione della Rackete decisa dal gip di Agrigento Alessandra Vella, per la Procura agrigentina è una “conclusione contraddittoria, errata e non adeguatamente motivata“. Quindi avrebbe dovuto restare agli arresti domiciliari.
Da qui – come riporta ilGiornale che ha pubblicato il documento, con un pezzo a firma di Fausto Biloslavo – la richiesta alla Suprema corte di annullare il provvedimento, perché risulta «viziato per violazione di legge». Non ha «provveduto correttamente a valutare gli elementi di fatto e di diritto». E ancora: «L’impostazione offerta dal Gip sembra banalizzare gli interessi giuridici coinvolti nella vicenda e non appare condivisibile la valutazione semplicistica».
A pagina 3 il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio e il sostituto Gloria Andreoli, vanno all’attacco: «Si ritiene che (…) il Gip nel pronunciarsi sulla legittimità dell’arresto di Carola abbia travalicato i limiti di approfondimento attenenti a tale fase procedendo a un’autonoma valutazione dei dati in suo possesso e pervenendo a un giudizio sostanziale della gravità indiziaria».
A cominciare dal non avere considerato «nave da guerra» la motovedetta della Finanza schiacciata contro la banchina per far sbarcare i migranti. «È di tutta evidenza – scrive la procura di Agrigento – che l’affermazione del Gip sia stato frutto di autonoma interpretazione che non trova alcun appiglio nella sentenza della Corte costituzionale» citata da Vella. «Al contrario si precisa che la giurisprudenza in più casi ha qualificato le motovedette della Guardia di finanza come navi da guerra» si legge nel ricorso.