La vostra Patti Holmes desidera porre alla vostra attenzione una straordinaria figura di donna, avvolta nel mistero, il cui nome potrebbe essere Nina Siciliana, Nina da Messina o Monna Nina, che contende a una fiorentina, conosciuta con lo pseudonimo Compiuta Donzella, il riconoscimento di prima poetessa in lingua volgare.
Insomma, dopo la batosta all’orgoglio British con la notizia quasi provata, e per loro scioccante, di uno Shakespeare di origini messinesi, un’altra ne arriva per i toscani grazie alla nostra bellissima, colta e singolare protagonista.
Nina Siciliana, Compiuta Donzella o Gaia da Camino?
Ovviamente, è inutile nasconderlo, la contesa è più accesa e aperta che mai e, infatti, oltre a Compiuta Donzella, di cui ci sono giunti tre sonetti, vediamo apparire all’orizzonte Gaia, figlia di Gherardo da Camino, signore di Treviso, ricordata da Dante nella Divina Commedia, ma di cui, a differenza delle altre due, non si conosce alcuno scritto. Di Nina, vissuta alla fine del XIII secolo, non ci è dato conoscere né il nome completo, né il luogo di nascita, ma tre studiosi, anzi due versus uno, vissuti tra il XVII e il XVIII, hanno elaborato differenti ipotesi: per Leone Allacci e Geronimo Ragusa, Nina era di origini messinesi; per Antonino Mongitore, invece, di origini palermitane. Si narra, ma qua entriamo nel più tenero dei gossip, che il poeta toscano Dante da Maiano si fosse innamorato dei suoi versi e di lei, senza neppure conoscerla, al punto da dedicarle un sonetto a cui la rimatrice siciliana rispose con altrettanto trasporto; d’altronde il mondo di versi che li univa permetteva loro di intrecciare un intenso e struggente scambio epistolare e una romantica e platonica relazione. Questo rapporto amoroso eternò la nostra poetessa come “La Nina del Dante”.
Chi era Nina?
Ma chi era questa donna che, ricordata per la straordinaria bellezza e l’acuta intelligenza, nei suoi versi brama intensamente l’incontro col suo amato? Il derby Palermo-Messina propenderebbe più verso la città dello Stretto e, infatti, nel caso fosse il suo luogo di nascita collegherebbe la nostra Nina con Guido e Oddo delle Colonne, personaggi di spicco della Scuola Siciliana di Messina, e spiegherebbe la passione nutrita e sviluppata dalla nostra protagonista per quelle rime così raffinate e votate all’amore. Ma cosa la contraddistinse, rendendola unica? Da un lato il merito di porre la figura femminile in primo piano e darle un ruolo attivo nei confronti dell’amato e dall’altro l’eleganza nello stile e il nuovo significato dato alla scrittura poetica.
Avvolta da un’aura leggendaria, nel tentativo di rielaborare i modelli con cui era entrata in contatto, fu in grado di ribaltarli, diventando apripista di una rivoluzione che le sue “colleghe” italiane recepiranno solo tra il XV e il XVI secolo. Nina, nel diventare soggetto e non più oggetto di passione, amante anelante, centro propulsore delle sue liriche, rimise in discussione gli schemi dell’amore cortese che volevano la donna-angelo, fonte d’ispirazione per l’uomo che, pur “cantandola”, la relegava in un ruolo di secondo piano che lei, passivamente e orgogliosamente, accettava perché grata di quella luce che la poneva, agli occhi di tutti, al centro del mondo. La nostra “trovatrice”, capirete tra un po’ il perché di questa definizione, aveva una visione diversa e voleva che la “madonna”, mea domina a parole, ma non di fatto, fosse realmente e attivamente protagonista, ri-velando, scoprendo per poi ammantare con i suoi versi, i sentimenti più intimi che, con lei, trovavano la loro dignità letteraria.
Dubbi sulla sua esistenza
Vogliamo raccontarvi, anche, i dubbi sulla sua storicità. Adolfo Borgognoni, studioso abruzzese, nel 1877, per primo in “Studi d’erudizione e d’arte”, propose la tesi, ribadita un anno dopo in un articolo dal significativo titolo “La condanna capitale di una bella signora”, apparso sulla “Nuova Antologia”, che Nina Siciliana fosse nata, in realtà, nell’officina tipografica dei Giunti nel 1527. Ma da cosa Borgognoni avrebbe partorito questa convinzione? Forse da una lirica contenuta nella raccolta “Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani”, in cui vi erano anche dei componimenti di Dante da Maiano che, in quanto edita a Firenze da Giunti proprio nel 1527, fu chiamata comunemente “Giuntina di Rime Antiche” .
C’è da dire, a onor del vero, che Borgognoni teorizzò pure l’inesistenza di Dante da Maiano ma, in questo caso, fu smentito nel 1907 da Santorre Debenedetti, filologo, critico letterario e accademico italiano, che ritrovò in un manoscritto quattrocentesco due suoi componimenti in occitano. I dubbi da parte di alcuni studiosi, probabilmente, non erano dovuti soltanto alla mancanza di dati storici ma, soprattutto, alla loro diffidenza nel credere che una donna, in un tempo in cui l’analfabetismo femminile era particolarmente diffuso, potesse passare da oggetto a soggetto di versi, utilizzando, per di più, un volgare che il grande Francesco De Sanctis, autore de “La Storia della letteratura italiana“, considerò: “esempio della eccellenza a cui era venuto”.
Le Trobairitz
In realtà, però, alcuni decenni prima, nel sud della Francia, una ventina di donne, le cosiddette trobairitz, la cui esistenza è stata accertata e non lascia margini di dubbio, aveva cantato con successo la “fin’amor” al femminile. Un particolare molto interessante, che vogliamo portare alla vostra attenzione, è l’affinità tra l’unico componimento di una di esse, Alamanda de Castelnau, e la produzione di Nina Siciliana. Ma la nostra poetessa come sarebbe venuta a conoscenza di quella parallela realtà poetica? La spiegazione è presto data: è possibile che avesse letto le liriche delle sue “colleghe” provenzali, come accadeva per quelle dei trovatori, nelle corti e negli ambienti colti siciliani dell’epoca in cui circolavano e che lei, quasi sicuramente, frequentava.
A Nina, di cui da siciliani non possiamo che essere orgogliosi, Francesco Trucchi, filologo toscano del XIX secolo, per primo, attribuì il sonetto “Tapina me”, presente nel codice Vaticano Latino 3793, definendolo“un prezioso gioiello”:
“Tapina me che amava uno sparviero, amaval tanto ch’io me ne moria; a lo richiamo ben m’era maniero, ed unque troppo pascer nol dovia. Or è montato e salito sì altero, assai più altero che far non solia; ed è assiso dentro a un verziero, e un’altra donna l’averà in balìa. Isparvier mio, ch’io t’avea nodrito; sonaglio d’oro ti facea portare, perchè nell’uccellar fossi più ardito. Or sei salito siccome lo mare, ed hai rotto li geti e sei fuggito, quando eri fermo nel tuo uccellare.”
Quanta contemporaneità nello sparviero fuggitivo che sembra descrivere il nostro oggi in cui, al restare e al costruire, si preferisce il darsi alla fuga e il distruggere, a dimostrazione che il mondo slow di Nina, in fondo, nell’ingarbugliato ambito amoroso, non era molto differente dal nostro, che possiamo definire, e senza timore di essere smentiti, fast. Nonostante la sua esistenza sia stata più volte messa in discussione, speriamo, col nostro piccolo contributo, di avere diradato qualche nuvola e averle dato un po’ di quella luce che merita. Una cosa certa è che le sue città, Palermo o Messina, l’hanno voluta riconoscere, dandole il patentino di autenticità storica, con due strade a lei dedicate.
Viva Nina Siciliana, Nina da Messina o Monna Nina, e l’ingegno trinacrio che ci pone oltre e ci fa “vedere” altro dal comune “sentire”.