“L’eccesso di assistenzialismo fa male alla Sicilia ed ai suoi giovani“. A sostenerlo è Fabrizio Fonte, presidente “Centro Studi Dino Grammatico”.
“In Sicilia, – sostiene Fonte – secondo i dati ufficiali INPS, le persone che usufruiscono di un assegno sociale o di invalidità (all’incirca 520mila) sono quasi quanto tutti i dipendenti delle imprese (circa 580mila).Tutto ciò dà l’idea di quanto il sistema produttivo sia pressoché inesistente nel tessuto sociale dell’Isola. Come se non bastasse a tutto ciò si devono aggiungere, nell’ultimo anno, anche i beneficiari (circa 500mila) del cosiddetto «reddito di cittadinanza», che purtroppo ha immediatamente dato prova di ridursi solo ad una semplice misura assistenziale, per il semplice fatto, che al di là delle buone intenzioni, purtroppo scarseggiano (ma era risaputo!!!) le offerte di lavoro nelle bacheche dei «Centri per l’impiego regionali»”.
“Ragion per cui sia i vecchi malformati 1.200 dipendenti, che i neoassunti «Navigator» (per inciso sono gli unici 400 che hanno trovato un’occupazione) chiamati ad incrociare «domanda ed offerta» (con il vincolo dei 50 chilometri di distanza dalla propria residenza) avranno poco da “lavorare” – critica il presidente del Centro Studi -. Inutile sottolineare che l’Isola è la prima regione per il numero di richieste del «reddito di cittadinanza» e già dai primi controlli emergono i classici “furbetti” che, oltre a percepire il sussidio, lavorano «in nero», danneggiando, attraverso un’ovvia concorrenza sleale, chi invece è in regola con le normative in vigore e con i consequenziali costi da sostenere in termini fiscali e previdenziali”.
“Come se non bastasse il dramma dei giovani inattivi (cosiddetti NEET ovvero giovani, tra i 15 e 29 anni, che non lavorano e che non sono impegnati in percorsi di formazione) raggiunge in Sicilia una percentuale del 38,6% (la media italiana è del 23,4% e quella dell’Unione Europea, invece, è del 12,9%), ma anche il livello d’istruzione (ovvero di giovani laureati) è più basso rispetto alla media europea. Il quadro appena descritto profila il fatto che con questo andazzo intere fasce delle nuove generazioni sono condannate a vivere, giocoforza, ai margini della futura società“.
“L’unica alternativa che gli si propone è quella di abbandonare l’Isola e, infatti, negli ultimi dieci anni ben 26mila giovani siciliani sono stati costretti ad intraprendere questa via – sottolinea amaramente Fonte -. Un flusso migratorio senza soluzione di continuità che sta lentamente spopolando interi territori, in particolare quelli dei piccoli centri dell’interno della Sicilia, quasi sempre finalizzato alla ricerca di lavoro. Va detto, per la verità, che l’intera nazione soffre di un alto tasso di disoccupazione che si attesta attorno al 19,7% (solo la Grecia e la Spagna sono davanti), mentre la media europea è del 9,2%“.
“Recentemente, a sottolineare il fatto che il fenomeno migratorio ha assunto dimensioni drammatiche, è nato tra gli studenti ed alcune associazioni un movimento di idee («Si resti arrinesci»), promosso soprattutto sui social media, di contrasto alla fuga dalla Sicilia. Si sono registrati già diversi incontri, in particolare tra i giovani, in giro per l’Isola, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno dell’emigrazione giovanile“.
“Il fatto che un movimento spontaneo inizi a sollecitare, in particolare la «classe politica», ad indirizzare le risorse per creare condizioni di sviluppo e non più assistenziali è già un primo significativo passo avanti. Anche perché è sempre l’elemento culturale quello che fa, e lo farà sempre di più, la differenza. E, in tal senso, una Terra che potrebbe pianificare il suo futuro nel suo vastissimo patrimonio (naturalistico, paesaggistico, archeologico, etc..) è chiamata a fare il salto di qualità, per consentire ai suoi figli di poterci (se lo desiderano) continuare a viverci“.
“Anche perché come ci ricorda Cesare Brandi «L’uomo non ha cessato, neanche nei tempi storici di favoleggiare sulla Sicilia, che è la terra stessa del mito: qualsiasi seme vi cada, invece della pianta che se ne aspetta, diviene una favola, nasce una favola»“, chiosa Fabrizio Fonte.