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“Il punto di vista di Dio”, secondo Ester Bonafede

domenica 1 Aprile 2018
Ester Bonafede
Ester Bonafede

Riceviamo e pubblichiamo il seguente contributo di Ester Bonafede, ex assessore regionale:

” “Nei periodi più bui, non è che aumenta la fede, ma aumenta il bisogno di credere e sicuramente anche il più freddo e convinto ateo, sente questa pulsione dell’anima, il bisogno di rivolgersi a pensieri più alti” cosi ebbe a dire Ettore Scola il 27/04/14 durante la  mobilitazione di popolo per la  canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII.

Quasi due anni dopo, il 19/01/16, moriva Ettore Scola ed in quella occasione di ricordo laico voluta dal maestro; Tornatore ricordava un episodio in cui Scola mostrando a Fellini il suo Film “C’eravamo tanto Amati” si sentì dire da Fellini: “Le inquadrature dall’alto non si fanno perchè quello è il punto di vista di Dio; tu non sei credente, chi te lo fa fare di mettere il punto di vista di Dio?

Il punto di vista di Dio…

Io credo che nessun uomo sia pienamente ateo e che mai come oggi, tutti coloro che non credenti, invecchiando avvertono atterriti il senso della morte come fine e si rivolgono alla fede con la timidezza ed il pudore di bambini.

Max Weber scriveva “il vecchio muore non più sazio della vita ma semplicemente stanco; la vita infatti non è più un accumulo di esperienze da tramandare ma una successione di esperienze da oltrepassare. Ed il futuro non è la realizzazione dei fini ma semplice potenziamento dei mezzi”.

Cosa comporre per recuperare la “insostenibile leggerezza dell’Essere”?

In questo tempo di disaffezione dai valori della politica, di sfiducia nella pienezza e nella imprescindibilità della libertà e della democrazia, riecheggiano le parole di Giovanni Paolo II “Scienza e Fede hanno metodi diversi per raggiungere la verità”.

E tuttavia è nel metodo che, a mio avviso, risiede la grande differenza tra ciò che è empirico e ciò che è dogmatico in senso di assoluto: credere è un atto di volontà, è espressione del libero arbitrio.

Alla base dello scetticismo che ha contraddistinto l’attenzione anche recente per la fase elettorale, c’è la consapevolezza da parte del popolo italiano di un fenomeno che caratterizza in generale la società contemporanea: la perdita di identità.

Il moto di dissenso prima e la ribellione poi, sono i sintomi che devono guidarci nella lettura di questo recente fenomeno, con onestà di sentimenti e con obiettività di intelletto, lasciandoci ispirare con umiltà e senza pre-supponenza o pre-concetti o ancora peggio, pre-giudizi.

Forse per questa disattenzione e spregiudicatezza del pensiero politico e della conseguente azione dei partiti tradizionali, che è stato possibile un “capoter” un rovesciamento del sistema ortodosso dei partiti, a beneficio di nuove forme di aggregazione del pensiero denominate movimenti.

Il verificarsi di un progressivo accumulo di eccessi di ricchezza privata ottenuta con il consumo irresponsabile di risorse non riproducibili, che fanno a pugni con le miserie pubbliche, con le diffuse incapacità gestionali, hanno esasperato i cuori e le menti dei milioni di cittadini impegnati quotidianamente nel tentativo, a volte disperato, di garantire il benessere elementare a se stessi ed alla propria famiglia: la casa, il lavoro, i servizi alla vita.

È stato un grande errore produrre beni e servizi senza incrementare lavoro, denaro senza sviluppo.

In una Italia diventata triste come si fa a liberare un sogno?

La società moderna in tutto il pianeta, attraversa un momento di crisi profonda e non soltanto economica ma sociale e spirituale. Siamo di fronte ad una irreversibile consunzione delle risorse politiche che hanno costruito la democrazia in occidente e cosi come scrive DonoloE’ necessario un sogno collettivo” che faccia evolvere le strutture sociali verso forme più avanzate”.

La gente cerca qualità di servizi, correttezza nei rapporti, vivibilità nelle città soprattutto delle loro periferie. E’ stato scritto poeticamente: “Ogni sogno è diverso ma molti sogni si assomigliano e quando c’è consenso tra i sogni ed i sognatori, la democrazia evolve”.

Forse sarebbe necessaria una CONVERSIONE: “In latino conversio, da converti o se convertere, vuol dire “portarsi dall’uno all’altro luogo”, “volgersi verso qualcuno o qualche cosa” “cambiare direzione” o “strada”, Rivolgimento, movimento di un corpo nello spazio intorno a un altro corpo; in partic., movimento di rivoluzione dei pianeti: …  Mi pare che tutto ciò, assomigli a rivoluzione: moto costante di rotazione di un corpo rispetto ad un centro. Ed in effetti la conversione è una “rivoluzione” forte ed imperativa, effetto di uno spostamento del centro intorno a cui la vita stessa si aggira: essa è cioè il passaggio dell’uomo dall’animalità alla spiritualità, per cui il bene proprio si subordina al bene universale. In questo senso, che è il più comune, la conversione è il passaggio da una concezione egocentrica a una concezione e pratica teocentrica della vita”.

Ricordiamo a proposito di identità, quanto Giacomo Leopardi scrive nello Zibaldone: “Gli italiani non hanno costumi: essi hanno delle usanze. Così tutti i popoli civili che non sono nazioni”.

La “ragione” matematica ci dà spesso un quadro statistico di un popolo anche quello italiano, adoperando il numero degli abitanti, il numero degli occupati, il tasso di nascite e di morti, il reddito procapite ed in considerazioni dei numeri si determinano decisioni, ignorando, poiché non è calcolabile comunque, lo “spirito” di un popolo rinvenibile nel modo in cui quegli abitanti convivono, nel modo in cui lavorano, nel modo in cui nascono e muoiono, nel modo in cui amano e odiano.

La ragione matematica ignora il “corpo” di quei popoli, la loro differenza qualitativa che sfugge al calcolo, per attenersi al puro dato quantitativo calcolabile. E’ un errore pensare che patria, razza, sangue, stirpe, antagonismi tra i popoli, siano quei depositi dell’irrazionale da cui la storia si è emancipata evolvendo, perché forse i fascismi, i nazismi, i totalitarismi sono nati proprio perché non si è tenuto conto di quei depositi di irrazionalità in cui si radica lo spirito di un popolo.

Il disordine mondiale a cui assistiamo in questi tempi è la ribellione dello spirito dei popoli ai disegni ed alle pianificazioni, atto che ha trovato in occidente la sua massima espressione.

Forse la resistenza alla costituzione di una Europa unita nasconde anche la paura dei popoli di perdere quell’identità in riferimento alle quali ognuno conosce se stesso. Ed è per questo che nella realizzazione di un Europa che non sia, come fu detto per l’Italia, solo un’espressione geografica, bisognerà avere estrema cura per le differenze dello spirito dei singoli popoli.

Il rischio maggiore oggi è la perdita della memoria storica perché abbiamo perso il senso dello Stato ma siamo ancora legati alla patria, lo dimostra simbolicamente la affezione degli italiani per l’inno nazionale di Mameli.

La storia nazionale è in fondo anche la sommatoria della storia delle nostre famiglie.

Tutto questo è il moderno concetto di cultura, elemento essenziale per la creazione di “persuasioni” comuni senza le quali nessun consenso è possibile.

In questo scenario, io penso che l’idea religiosa “leghi” (dal latino re-ligo) tutte le componenti sociali trasferendole poi sul piano economico-politico permettendo una scelta (RE-Legere  _scegliere) che unisce (Re- ligere _unire insieme); mai parola fu più compiuta più precisa nella sua etimologia, al fine che vuole esprimere.

Papa Francesco afferma che “I più gravi dei mali che affliggono il mondo in questi anni sono la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra, e il guaio è che non li cercano più. Sono stati schiacciati sul presente. Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia, si ferisce il corpo ma anche l’ anima e la  Chiesa deve sentirsi responsabile sia delle anime sia dei corpi”.

Queste parole riecheggiano alla mia memoria quanto scrive Umberto Galimberti sui giovani della società contemporanea, preda della fissità incredula di un eterno presente incapaci di immaginare il loro futuro che viene visto come una minaccia e non una promessa, vittime di un tempo in cui la loro vita notturna è spesso una fuga dall’insignificanza di un’esistenza diurna, socialmente inespressiva.

I nostri giovani, i nostri figli, affidano le proprie emozioni, o quanto ne sopravvive, alla virtualità di uno schermo sempre più effimero, volatile: il telefonino è un’appendice estensiva del proprio corpo!

Lo scatto di un selfie autoreferenziale e del racconto di un istante del quotidiano attraverso una foto per rendere il tempo eterno. Niente che abbia la pretesa di continuare ad esistere un istante dopo il consumo dell’immagine stessa, forse per paura che la perduranza, che solo le parole lette o scritte ci consentano, ci possa ricordare che le certezze si sono dissolte.

Come tutto questo è sbagliato lo scriveranno gli antropologi fra qualche tempo, per questo siamo obbligati ad intervenire perché chi ispirato al cambiamento avverte questa necessità, deve intervenire, deve contribuire alla conversione.
Papa Francesco afferma “Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.

Basterebbe ricorrere all’agape, l’amore per gli altri, come il nostro Signore l’ha predicato, lievito che serve al bene comune.

Agape, l’Amore di Dio per l’umanità, disinteressato, fraterno, smisurato. Il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza e la  Pasqua è festa della speranza della Resurrezione a cui tutti anche i più agnostici, anche solo per un istante nella vita hanno sperato e forse creduto. Antitetico all’Agape, il narcisismo, amore smodato verso se stessi, spesso causa di danni gravi non solo all’anima di chi ne è affetto, ma anche nel rapporto con gli altri, e per la società in cui si vive.

Il vero guaio è che i più colpiti da questo che in realtà è una sorta di disturbo mentale, sono spesso persone che hanno molto potere: molti ‘Capi’ sono narcisi.

Nei numeri i cristiani sono apparentemente, una minoranza. Perfino in Italia, che viene definita il “giardino del Papa”, i cattolici praticanti sarebbero secondo alcuni sondaggi tra l’8 e il 15 per cento; i cattolici che dicono di esserlo sono un 20 per cento.

Nel mondo esiste un miliardo di cattolici e con le altre Chiese cristiane si supera il miliardo e mezzo, ma il pianeta è popolato da 6-7 miliardi di persone, quindi i cristiani cattolici sono numericamente  una  minoranza, eppure essere una minoranza con una legge di coesione interna invincibile, è  addirittura una forza per predicare la pace.
Le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti, ma  i cattolici impegnati nella politica hanno dentro di loro i valori della religione ed una loro matura coscienza e competenza per attuarli.

Nella società e nel mondo in cui viviamo, l’egoismo è aumentato assai più dell’amore per gli altri e gli uomini di buona volontà debbono per questo operare, ciascuno con la propria forza e competenza, per far sì che l’amore verso gli altri aumenti fino ad eguagliare e possibilmente superare l’amore per se stessi; penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi. Ci vuole grande libertà, nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento ed anche, se fosse necessario, interventi diretti e coraggiosi dello Stato, per correggere le disuguaglianze più intollerabili. “Perchè le idee lavorano comunque anche e soprattutto all’insaputa di chi non le conosce”. Scriveva Mannheim: “Senza ideali l’uomo diventa una creatura dominata da meri impulsi”. Dobbiamo ricostruire le fondamenta degli ideali, esserne interpreti.

Quale ruolo può avere la donna in questa fase storica?

Rammentiamo che nel processo di affermazione dei giusti diritti, è solo nel 1919 che l’Italia riconosce alle donne la “capacità giuridica” cioè l’l’idoneità a essere soggetto di diritto, ossia persona in senso giuridico. Nel 1919, venne, infatti, abolita l’autorizzazione maritale – pur con notevoli limitazioni-, dando così alla donne almeno l’emancipazione giuridica. Il 6 settembre del 1919 la Camera approvò la legge sul suffragio femminile, con 174 voti favorevoli e 55 contrari. Le camere però vennero sciolte prima che anche il Senato potesse approvarla. L’anno successivo di nuovo la legge venne approvata alla Camera, ma non fece in tempo ad essere approvata al Senato perché vennero convocate le elezioni. La presidente del Comitato pro suffragio dichiarò: “La legge non è stata votata per paura dell’incognita che l’ingresso della donna nella vita politica rappresenta per tutti i partiti. […]”. Nella mentalità dei dirigenti politici, il suffragio femminile deve essere un servizio calcolato e ben sicuro”. Il 1 febbraio del 1945, su proposta di Togliatti e De Gasperi venne infine concesso il voto alle donne. La Costituzione garantiva l’uguaglianza formale fra i due sessi, ma di fatto restavano in vigore tutte le discriminazioni legali vigenti durante il periodo precedente, in particolare quelle contenute nel Codice di Famiglia e il Codice Penale. Per un soffio l’indissolubilità del matrimonio non fu iscritta nella Costituzione stessa, grazie all’emendamento di un deputato saragattiano.  Successivamente nel 1946 la stessa Italia consapevole della partecipazione importante delle donne alla fase della Resistenza nella riconquista della libertà e della democrazia, concede alla donna il diritto al voto.

In Italia le donne furono quindi considerate cittadine al pari degli uomini, solo alla fine della Seconda guerra mondiale, il 10 marzo del 1946.

La loro prima occasione di voto non fu il referendum del 2 giugno 1946 per scegliere tra monarchia e repubblica, come pensano in molti, bensì le amministrative di qualche mese prima, quando le donne risposero in massa e l’affluenza superò l’89 per cento Le donne elette alla Costituente furono 21 su 226 candidate, pari al 3,7 per cento: 9 della Democrazia cristiana, 9 del Partito Comunista, 2 del Partito Socialista e una dell’Uomo Qualunque. Cinque deputate entrarono poi a far parte della “Commissione dei 75”, incaricata dall’Assemblea per scrivere la nuova proposta di Costituzione

I numeri delle donne elette nell’ultima tornata elettorale del 4 marzo 2018sono: 85 deputate su 630 e 86 senatrici su 315. Il rosatellum, la legge elettorale con cui abbiamo votato, prevedeva che per ciascuna lista i candidati non avrebbero potuto superare la distribuzione di 60 a 40 per cento tra i due sessi.

Nella precedente legislatura le donne elette alla Camera furono 198 e sempre 86 al Senato.

Ma al di là della importante presenza delle donne all’ interno dei due rami del parlamento, io ritengo sia imprescindibile che le donne partecipino pienamente con responsabilità dirette alla evoluzione ed alla crescita della società civile.

Le donna è madre, moglie, figlia, protagonista della vita dalla famiglia allo stato, può essere grande artefice del cambiamento.

Mi sovviene il ricordo della mia adolescenza romana; quante volte ho visitato San Pietro sostando davanti alla Pietà di Michelangelo non comprendendo perché provavo quell’ emozione forte ed ero rapita dall’ espressione di Maria madre fanciulla.

Una commozione inarrestabile fino al pianto mi portava alla contemplazione ed alla incredulità: avrei voluto sottrarre il dolore alla fanciulla Maria.

Michelangelo estranea il tempo alla rappresentazione della Pietà: Gesù è nel tempo reale della sua maturità e Maria è ferma all’Annunciazione, è giovinetta è tornata indietro nel tempo quanto tutto era già stato scritto e la sua mano rivolta con il palmo al cielo, rivela l’ineluttabilità del sacrificio del figlio per la salvezza dell’umanità.

Essa si offre portando in grembo l’adorato Figlio ed il Suo amore permette al suo fragile giovane corpo di sostenerne il peso.

L’Amore è invincibile perché è più forte del Dolore.

Forse dovremmo semplicemente ispirare la nostra vita al sentimento assoluto dell’amore per i figli e trasferire questo Agape a tutti i nostri pensieri ed alle nostre azioni perché io penso che Dio per farci comprendere il suo amore ci ha reso genitori e non padroni dei nostri figli.

Offriamo allora la nostra vita e la nostra forza per costruire il loro futuro migliore.

Ester Bonafede 31/03/2018″

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