Imbalsamato nella prima parte dell’anno e cristallizzato sulle stesse posizioni e ritmi, poco forsennati, del passato, il parlamento siciliano non riesce a cambiare passo, regole e sistemi, neanche in coincidenza dell’importante appuntamento della sessione di bilancio e rischia di rimanere appiattito su se stesso, tirando dentro nelle responsabilità agli occhi dei siciliani, non solo il centrodestra, che traballa di suo dal primo giorno della legislatura, ma l’intera Ars.
Lo stralcio delle norme sulle stabilizzazioni ad esempio, al di là dei profili di costituzionalità e copertura finanziaria, o di tutti gli altri accorgimenti tecnici che camuffano le scelte e facilitano l’agibilità complessiva dell’aula nell’affrontare la manovra, pone un problema politico che la Sicilia non può più differire. Da un lato, la politica a parole dice di volere stabilizzare, ricollocare e rendere definitamente regolato l’utilizzo dei precari (non solo ex Pip e forestali, ma anche precari storici di Regione ed enti locali), dall’altra, mantiene colpevolmente socchiusa la porticina per ulteriori reclutamenti e ammicca a soluzioni inevitabili che in realtà portano solo a differire fibrillazioni nel tempo.
Dov’è dunque il cambio di passo? Dove sono le regole nuove che portano alla pianificazione e alle scelte chiare e neutre che non scontentano nessuno?
La fiera degli accordi volatili ha spesso coinciso negli anni scorsi con le finanziarie approvate con il sottofondo dei manifestanti nella piazza del parlamento. Del resto, vale per tutti, a mali estremi estremi rimedi, ma quel che è certo, è che la discontinuità annunciata nei metodi dalla stagione di Nello Musumeci ha bisogno di trovare sul campo, e all’Ars, interpreti diversi e tessitori più abili di quelli che si sono visti fino a questo momento all’opera.
Il conflitto sociale oggi non pare essere colto in tutta la sua dimensione di significativa e rilevante pericolosità. Chissà perché chi osserva ogni anno, i discorsi e i teatrini sempre uguali di questi giorni, non riesce a trovare la piena e completa consapevolezza che in materia di lavoratori part-time da dare in pasto alle esigenze molteplici delle campagne elettorali, si cambia regime.
Una parola tornata di moda nelle ultime settimane ad esempio è RESAIS, la struttura che ospita i fuoriusciti da alcune aziende e altri lavoratori e gestisce il personale già dipendente degli Enti Economici AZASI, EMS ed ESPI e delle società a totale partecipazione dagli stessi controllate. Quando Crocetta pronunciò la stessa volontà, in molti, comprensibilmente, parlarono di riesumare un ‘carrozzone’. Il governo all’epoca aveva pensato all’ipotesi di mettere insieme due bacini: ai circa 14.500 precari degli enti locali il migliaio di lavoratori in esubero delle ex Province. La Regione aveva quindi chiesto ai sindaci di calcolare quanti posti si fossero liberati con i pensionamenti, ma chiedendo al governo centrale la possibilità di estendere le piante organiche dei Comuni per far entrare più gente possibile direttamente nelle amministrazioni. Alla fine non se ne fece niente.
Oggi Vincenzo Figuccia chiede che gli ex Pip vadano tutti in RESAIS. Stesso schema, analogie e similitudine, ma, alla fine, poche soluzioni.
Per stabilizzare i precari ci vogliono regole, ma anche soldi, criteri e risorse. Non basta provarci una volta l’anno quando arriva l’infornata della legge di stabilità regionale. E soprattutto non serve a nessuno.