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A Messina il 25 febbraio “C’era una volta in Italia”: storia vera della sanità pubblica smantellata

giovedì 23 Febbraio 2023

C’è una storia vera, ad un tiro di schioppo da casa nostra. C’è lo smantellamento trentennale della sanità pubblica. C’è la vanificazione dei diritti costituzionalmente garantiti alla salute ed alle cure. C’è la battaglia della cittadinanza per la riapertura di un ospedale a Cariati, in Calabria, chiuso da 10 anni. Ci sono 40 mila persone (in estate diventano 200 mila) che per raggiungere il Pronto soccorso più vicino (Corigliano Rossano), devono viaggiare 40 minuti per 50 km, o, un’ora fino a Crotone. Ma se hai un infarto o un ictus devi arrivare fino a Castrovillari. Per non parlare ovviamente del diritto alle cure.

Si legge Cariati, Calabria, ma la mente va a Lorenza Famularo, morta a Lipari nell’agosto del 2020 (qui) scontando la pena dei tagli alla sanità (qui), o ai tempi lunghissimi per la costruzione del nuovo Pronto soccorso del Policlinico di Messina, o alle battaglie contro lo smantellamento degli ospedali della provincia di Messina, dei presidi sanitari, dei punti nascita. Alle mobilitazioni per “salvare” le ambulanze con medico a bordo. Consapevoli che, là dove c’è un taglio alla sanità pubblica, il vantaggio va al privato, oppure iniziano i viaggi per arricchire  la sanità del Nord.

Tutto questo è “C’era una volta l’Italia- Giacarta sta arrivando”, il film documentario di Federico Greco e Mirko Melchiorre che nessun festival ha voluto, rimasto fuori dai circuiti ufficiali e senza copertura mediatica ma che da 12 settimane fa sold out nelle sale. “C’era una volta in Italia-Giacarta sta arrivando” sarà proiettato a Messina sabato 25 febbraio alle 20.00 nella sala Fasola dell’Apollo. Seguirà un dibattito alla presenza dei due registi, Greco e Melchiorre.

La storia è quella di una battaglia in terra di frontiera, la Calabria, là dove la sanità pubblica a furia di tagli, spending review e privatizzazioni è ridotta al lumicino.

Con il Piano di rientro è stato chiuso anche l’ultimo ospedale della zona: uno dei 18 ospedali cancellati nel giro di una notte in tutta la Calabria, quello di Cariati. L’ospedale resta chiuso per 10 anni. Un gruppo di ribelli lo occupa sperando nella riapertura. Il documentario si arricchisce dei contributi di intellettuali, medici, esperti e attivisti italiani e internazionali.

Guardi quella lotta e pensi che oggi, nel 2023 in Calabria, il presidente della Regione è costretto, causa vuoti d’organico e numero chiuso in medicina, a chiamare i medici da Cuba (qui) e adesso sta pensando anche a quelli provenienti dall’Albania. Perché una visione coloniale della sanità vuole così. Perché se chiudi un presidio sanitario al sud non è che la gente smette di stare male. Alimenti però un ricco giro d’affari. Nella stessa aera dove ha chiuso il presidio di Cariati ci sono tre cliniche private (toh, chi l’avrebbe mai detto……..).

“Certe volte è più facile aprire un ospedale a Kabul” dirà Gino Strada con riferimento alle sue settimane in Calabria, ai tempi del covid. L’idea era quella di riaprire l’ospedale di Cariati, finì che riuscì solo a dare una mano al sistema al collasso a Crotone. E quando arrivò gli dissero: “ “qui è come se ci fosse il covid da 10 anni”.

Cariati è a un tiro di schioppo da Messina. La nostra terra, dove nelle scorse settimane i comitati si sono mobilitati da Barcellona e Sant’Agata di Militello fino a Taormina per salvare i presidi sanitari ed i diritti, è piagata dalle stesse ferite. Tagli, inefficienze, sprechi che mentre l’autonomia differenziata si fa più vicina diventano ombre di uno smantellamento progressivo.

E’ lo stesso regista Federico Greco a raccontare cosa sta accadendo ad un film che doveva restare invisibile ma che sta esplodendo di sala in sala grazie al tam tam. “Da tempo i festival non servono più a sostenere i film che non avrebbero opportunità di finire in sala. I festival ormai servono solo a – promuovere i festival; – fare da cassa di risonanza della propaganda di guerra (vedi Cannes, Venezia, Academy, Sanremo…); – piazzare critici per ragioni politiche; – azzoppare il cinema indipendente capace di profondità e leggerezza a favore dei “pipponi d’autore”. Da tempo la stampa non ha più quella forza di fare la differenza nel successo di un film in sala. Nessuno più legge recensioni: perché sono scomparse dai quotidiani, perché i recensori non hanno più alcuna cultura cinematografica né politica. Da tempo la politica è morta – la politica che creava “l’aria”, che a sua volta sosteneva certi film – sostituita dal consenso verso il salvatore tecnico di turno. È morta la cultura politica con essa, l’egemonia culturale gramsciana, è morta la tensione civile verso una società più giusta, barattata per le libertà individuali. “C’era una volta in Italia” se ne sbatte che nessun festival, nessuna testata nazionale, nessuna politica – eccetto quella extraparlamentare, che sia benedetta – stia sostenendo il film più politico degli ultimi 30 anni.Perché non solo va in sala pur essendo stato rifiutato da tutti i festival; ma fa il tutto esaurito da dodici settimane pur non avendo copertura mediatica; e infine fa esso stesso politica come non è mai stata fatta”

Gli autori sono gli stessi di PIIGS (anche quel documentario circolò nelle sale in modo indipendente sempre sold out), l’acronimo usato dai giornalisti di economia per indicare in modo dispregiativo i Paesi più fragili economicamente (richiamando appunto il maiale, pig): Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna. Insomma, tranne l’Irlanda che è stata inserita successivamente, i Paesi del Sud dell’Europa, ai tempi dell’Austerity quando a rimetterci le penne per prima fu la Grecia.

 

 

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