A San Martino l’atmosfera è calda e gioiosa, non solo per il bel tempo, infatti, si parla di “estate”, ma perché è ebbra di vino e pervasa dai profumi sprigionati dalle caldarroste e dalla salsiccia. E noi, per farvi vivere e godere anticipatamente di questa giornata, vi raccontiamo le origini della salsiccia e due leggende sulle castagne. Penetriamo, allora, tra le pieghe di questa golosa narrazione.
Le origini della salsiccia
Dovete sapere che al proverbio “A San Martin ogni mustu è vinu” se ne accompagna un altro “S’ammazza lu porcu e si sazza lu vinu“che ci ricorda che, in questa ricorrenza, molte famiglie siciliane macellavano il maiale per farne salumi di ogni genere, tradizione ancora viva in molti centri. Prima di fare un piccolo tour in Italia, fermiamoci, però, in Sicilia.
Partendo dal fatto che la salsiccia nasce dalla necessità di non buttare nulla e di riciclare gli scarti della carne, non possiamo non parlare, per quanto riguarda la nostra isola, della famosa “Salsiccia pasqualora“, insaccato di maiale inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf). Il suo nome deriva dall’usanza del nostro popolo di utilizzare alcuni tagli del maiale proprio nella settimana precedente la Pasqua. Originaria, probabilmente, dei comuni di Trapani, Erice, Valderice, Paceco, Calatafimi, Alcamo, Castellammare del Golfo, Buseto Palizzolo e San Vito Lo Capo, ormai appartiene alla Sicilia tutta. Lo stesso Virgilio, nelle Georgiche, ebbe a citare la salsiccia pasqualora: “un tipo di carne tagliata in punta di coltello e macinata con piatto a fori larghi alla quale veniva aggiunto sale, pepe nero, peperoncino, vino bianco e semi di finocchio selvatico. Oltre che cotta alla brace viene consumata cruda come fosse un salamino. Presenta una forma ad U allungata”.
La prima testimonianza storica sull’uso di insaccare nel budello di maiale la sua carne insieme a spezie e sale è, invece, dello storico romano Marco Terenzio Varrone, che ne attribuisce l’invenzione e l’uso ai Lucani: «Chiamano lucanica una carne tritata insaccata in un budello, perché i nostri soldati hanno appreso il modo di prepararla dai Lucani» e, infatti, la salsiccia viene anche chiamata lucanica. Secondo una tradizione lombarda, invece, la sua invenzione sarebbe opera della regina longobarda Teodolinda, che ne avrebbe, poi, regalato la ricetta agli abitanti di Monza; per il Veneto, invece, il percorso è più complesso: pare che a diffondere la lucanica fu, intorno al X-XI secolo, il Principe Arnaldo Zamperetti da Cornedo che, da ambasciatore, recandosi a Rodi in servizio per la Serenissima Repubblica di Venezia, tradusse i volumi culinari di Timachida, trovati in una biblioteca del posto, e grazie a questi apprese l’arte della salsiccia.
La diffusione in Grecia si ebbe, molto probabilmente, a seguito della guerra dei Lucani contro i Tarantini in cui la città pugliese, per avere la meglio nello scontro, nel 323 a.C., chiamò in aiuto Alessandro I d’Epiro, il “Molosso”, zio di Alessandro Magno, che riuscì a sconfiggere i nemici, liberando le città ioniche e deportando molte persone del posto che, con il passare del tempo, insegnarono e diffusero nell’intera Grecia la tecnica della “loukanika”. Dal nome “lucanica” è derivato “luganega“, termine che i lombardi, i trentini e i veneti, tutt’oggi, danno a un tipo di salsiccia di piccolo diametro, destinata al consumo immediato.
Leggende sulla Castagna
A San Martino, oltre a stappare il vino novello e, infatti, molte cantine aprono le loro porte per le degustazioni, si gustano, anzi ci si abbuffa, di castagne e noi vogliamo omaggiare questo frutto autunnale con due leggende. La prima vede come palcoscenico un bosco di montagna in cui, accanto a un enorme albero pieno di castagne, viveva una famiglia di ricci composta da mamma, papà e i loro piccoli che, quotidianamente, vedeva un gruppo di scoiattoli affamati avvicinarsi all’albero per mangiarne i frutti. Un giorno, la famigliola pensò di fare una passeggiata nel bosco e, sentite molte lamentele, si avvicinò incuriosita all’arbusto per vedere cosa stesse succedendo. Si accorse che le castagne si lagnavano perché quei dispettosi abitatori le mangiavano e insieme, allora, escogitarono un bel piano: al momento dell’arrivo degli scoiattoli, le castagne si sarebbero nascoste dentro i ricci. Così fecero e, da allora, i piccoli roditori, pungendosi, non gli si avvicinarono più e loro, per proteggersi, mantennero il loro riccio.
La seconda è collocata in un tempo molto lontano in cui le castagne non avevano il riccio, ma erano appese ai rami come le mele. Un giorno, tre di esse decisero di andare dall’albero più vecchio e saggio, non volendo più soffrire né il caldo né il freddo, e gli chiesero: “Come possiamo fare per evitare ciò?”. La risposta fu: “Dovete chiamare i ricci del bosco e dire loro di portare gli amici morti”. Le castagne ascoltarono il consiglio, portarono gli amici morti, tolsero la loro pelliccia spinosa e la avvolsero sulle castagne. Da quel giorno le castagne ebbero il riccio.
Chiudiamo con “A San Martino, salsiccia, castagne e vino“.