Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Palermo, Marco Gaeta, ha rinviato a giudizio due giovani accusati di violenza sessuale di gruppo e produzione di materiale pedopornografico. Il caso è quello della ragazzina di 15 anni costretta a fare sesso di gruppo e filmata, che, due anni dopo, il 18 maggio del 2017, si tolse la vita, lanciandosi nel vuoto dalla Rupe Atenea di Agrigento. La prima udienza è stata fissata per il 4 dicembre davanti ai giudici della prima sezione penale presieduta da Alfonso Malato. I genitori della ragazza, assistiti dall’avvocato Santina Nora Campo, si sono costituiti parte civile e si sono associati alla richiesta della procura di disporre il rinvio a giudizio. I difensori dei due imputati, gli avvocati Daniela Posante e Antonio Provenzani, avevano chiesto al giudice di emettere una sentenza di non luogo a procedere.
Nell’inchiesta sul suicidio della 17enne agrigentina che due anni prima del tragico gesto era stata costretta a subire violenza sessuale di gruppo mentre venivano filmate le scene, oltre ai due giovani che sono già stati rinviati a giudizio, con l’accusa di violenza sessuale e produzione di materiale pedopornografico, ci sono anche due ragazzi che all’epoca dei fatti erano minorenni.
L’udienza preliminare nei loro confronti si terrà martedì prossimo, davanti al gup Antonina Pardo.
Il pm della procura del tribunale dei minorenni di Palermo, Massimo Russo, a metà settembre scorso, ha chiesto infatti il processo per i due che oggi hanno 26 anni ma che, all’epoca, fra il 2014 e il 2015, non erano ancora maggiorenni. La squadra mobile di Agrigento, indagando sul suicidio, avvenuto il 18 maggio del 2017, dopo avere scartato alcune piste come quella delle sette sataniche, è risalita ai video che immortalavano la diciassettenne mentre faceva sesso di gruppo con quattro ragazzi.
I quattro giovani – è l’atto di accusa dei pm della procura di Palermo Luisa Bettiol e Giulia Amodeo – avrebbero abusato delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della ragazza “legata al consumo di sostanze alcoliche”. Alla vittima sarebbe stato intimato di restare ferma e non si sarebbero arrestati neppure davanti all’espresso rifiuto della quindicenne che, sostiene l’accusa, ha pronunciato frasi dal contenuto inequivocabile. “Non voglio”, “non posso”, “mi uccido”, “no, ti prego.. mi sento male”.