Da giorni riceviamo interesse da parte di aziende dell’agroalimentare per Singapore. Ma la città-stato, oltre che per la canzone del 1972 dei ‘Nuovi Angeli’, non dovrebbe, a ragione, suscitare particolare interesse nel mondo del business, essendo un micro-stato da 5,6 milioni di abitanti: poco più della Sicilia, meno della metà di Mosca, lo 0,4% degli abitanti della Cina.
Singapore, in realtà, si distingue per il suo PIL pro-capite, simile a quello delle capitali europee e per la popolazione cosmopolita che detta le mode in tutta l’Asia. Questi elementi contribuiscono renderla la New York del Sudest asiatico.
Inoltre, Singapore è seconda nella classifica sulla facilità di fare business; l’Italia è 46°. Se ciò non bastasse, i singaporiani sono consumatori sofisticati, alla ricerca di prodotti ad alto valore aggiunto: qualità, sicurezza alimentare, genuinità e biologico sono ormai diventate componenti essenziali per questo mercato.
Il brand Sicilia è il più riconoscibile tra i regional brands italiani. Esso ha una connotazione, data dai romanzi di M. Puzo, i film di F.F. Coppola e le pubblicità di D&G, che lo rende, in contesti lontani, forte come un brand nazionale. Sicilia nel Far East è associato ai concetti di famiglia, tradizione e genuinità, ma non a precisione e innovazione.
Nel 2016 Singapore ha importato cibi e bevande per 7,7 miliardi di euro, di questi solo 76 milioni arrivavano dall’Italia. Lo spazio per il Made in Italy è ampio e ne è una conferma il fatto che questo comparto cresca con una media del +40%. In più si registra una crescita della quota siciliana nelle esportazioni italiane di alimenti nel mondo, che dal 11% potrebbe arrivare al 18-20% nel 2020.
Il rischio nel mercato singaporiano è la concorrenza di chi è arrivato prima nella fascia di prodotti d’eccellenza: Francia e Gran Bretagna. D’altro canto, il fattore che più invoglia a scegliere Singapore è che il 75% degli abitati è ricco. Nel 2007 le importazioni di fascia medio-alta erano il 31% del totale e oggi sono il 54%.
Il mercato potenziale a Singapore per un prodotto Made in Sicily, vale oggi di 16 milioni di euro e nel 2020 potrebbe arrivare a 40-50 milioni. Che cosa serve per arrivare a questo piccolo miracolo?
Che la Commissione Europea metta tra le sue priorità la ratifica dell’accordo di libero scambio con Singapore, già concluso nel 2014, che darebbe accesso facile a quasi tutti i prodotti e riconoscerebbe 196 Indicazioni Geografiche europee (49 italiane, di cui 4 siciliane: Pomodoro Pachino; Cappero di Pantelleria; Arancia Rossa di Sicilia e il Vino Sicilia).
Che gli imprenditori prendano il coraggio a due mani, investano il giusto, collaborino fra loro e con chi può aprire nuovi mercati e, nel frattempo, si concentrino a continuare a produrre capolavori enogastronomici. Noi siamo disponibili ad approfondire la questione, contattateci a ms@nearco.eu