Alla chiusura di Renzi a Palermo c’erano tutti. In prima fila. La classe dirigente del Pd era completo: da Fausto Raciti a Giuseppe Lupo, da Antonello Cracolici a Davide Faraone, dagli ex articolo 4 Paolo Ruggirello e Luca Sammartino ai democratici di terzo pelo saliti sul carro dopo avere navigato in altre acque, quelle del Mpa e quelle di Forza Italia. C’era tutti, proprio tutti nel teatro scelto dal premier per incitare la caccia all’ultimo voto. C’erano proprio tutti, tranne qualche sparuto esponente dem schierato per il ‘no’, ma che in questa lunga campagna referendaria comunque è rimasto nelle retrovie senza apparire troppo, come Mariella Maggio, anima della corrente minoritaria di Roberto Speranza, o quel che è rimasto dei bersaniani, tipo Angelo Capodicasa ad Agrigento o Pippo Zappulla a Siracusa. Il resto del partito era al gran completo. Chi per convinzione per il “sì”, chi per opportunismo politico. Perché l’esito, qualunque sia, segnerà uno spartiacque all’interno dei dem che più che al referendum guardano alle prossime amministrative di primavera, a partire dal voto di Palermo, e soprattutto alle regionali del prossimo autunno. Renzi vincerà o perderà rimarrà il leader del partito. Saranno lui e suoi a fare le liste elettorali.

“Centristi per la Sicilia” è il marchio lanciato dal duo Casini-D’Alia. Loro al Politeama non c’erano, hanno optato per la chiusura in solitaria della battaglia per il “sì” un modo per mostrare i muscoli all’interno della coalizione di centrosinistra. Fallito il progetto di Alleanza popolare con Ncd, D’Alia e i suoi fedelissimi, così come ha fatto Totò Cardinale nella sua area di consenso che è Caltanissetta, non si sono risparmiati, concentrando gli sforzi nel territorio di Messina, bacino elettorale dell’ex presidente Udc e di Giovanni Ardizzone che i rumors di Palazzo danno come possibile candidato a sindaco proprio nella città dello Stretto, con l’appoggio della coalizione. Il risultato del referendum anche per i “centristi”, così come per il Pd, segnerà uno spartiacque. A spuntarla sarà chi dimostrerà al premier Renzi di averla avuta vinta sul proprio territorio a dispetto degli alleati che non potranno sventolare numeri da capogiro.
In questo puzzle in via di composizione qualche tassello lo ha in mano anche il Ncd di Angelino Alfano. Anche il ministro degli Interni non s’è risparmiato, facendo le sue puntate a Messina come ad Agrigento, a Palermo e a Catania. Forte della salda alleanza con Renzi a Roma, gli uomini di Alfano hanno lavorato per accreditarsi anche in Sicilia nella coalizione di centrosinistra e imporsi come eventuale guida centrista. Spinto al sostegno esterno al governo Crocetta dal segretario del Pd Fausto Raciti e da Gianpiero D’Alia, il Ncd negli ultimi mesi ha tentato diversi abboccamenti con i ‘renziani’ di Sicilia, molto legati a Cardinale. Al Politeama pure loro erano al completo, con Dore Misuraca, il responsabile nazionale enti locali del partito e con i sottosegretari Simona Vicari (in foto a lato) e Giuseppe Castiglione che hanno fatto diverse apparizioni alle kermesse di Renzi in giro per la Sicilia. Se dalle urne uscirà vincitore il “si” l’alleanza per creare il ‘grande centro’ sarà in discesa e i leader a quel punto metteranno sulla bilancia i risultati ottenuti nei territori per imporre la propria leadership. In caso di vittoria del ‘no’ lo scenario sarebbe un po’ più complesso. In questo caso bisognerà verificare chi ha giocato meglio le sue carte: D’Alia col suo progetto, Alfano con la sua fedeltà al premier o Cardinale, con quell’abilità di tessitore e raccoglitore di consensi che gli ha permesso di saltare dalla prima alla seconda Repubblica.




