Nei giorni scorsi abbiamo appreso la triste notizia della scomparsa di Aldo Rizzo conosciuto e apprezzato prima come magistrato e poi come politico e amministratore pubblico.
Il suo impegno politico iniziò come deputato al parlamento nazionale, eletto come indipendente nella lista del Partito comunista italiano, dove ebbe modo di mostrare la sua competenza sia nella commissione giustizia e soprattutto nella commissione antimafia e nella commissione d’inchiesta sulle trame e gli intrighi della loggia massonica P2 di Licio Gelli.
Fu, però, nel consiglio comunale di Palermo che ebbe modo di mostrare il suo amore per la città accompagnato da una grande volontà di affrontare e risolvere con rigore e concretezza gli storici problemi che la travagliavano. Nelle elezioni comunali del 1985, infatti, il PCI lo candidò indicandolo come possibile sindaco per la sua riconosciuta onestà, competenza e autonomia dai partiti. Tutti requisiti che, secondo il PCI, avrebbero potuto aggregare un largo schieramento nella prospettiva di una giunta unitaria che coniugasse l’impegno antimafia con una efficiente attività amministrativa, dopo la sciagurata e per certi versi drammatica esperienza della precedente legislatura comunale che aveva visto bruciare cinque sindaci e che sfociò nello scioglimento anticipato del Consiglio Comunale.
Impegno antimafia e buona amministrazione furono i segni che Rizzo impresse in tutta la sua attività amministrativa che lo vide protagonista della cosiddetta “Primavera di Palermo” che segnò una svolta nella vita politica della città. Una svolta promossa da Sergio Mattarella e Leoluca Orlando che come sindaco guidò questo processo di cambiamento politico e culturale con un netto profilo antimafioso. Rizzo fu vice sindaco sia nella giunta pentacolore, che vide la partecipazione di movimenti civici come i Verdi e Città per l’uomo con l’appoggio esterno del PCI, e sia in quella chiamata esacolore per la partecipazione diretta nella giunta dei comunisti.
In queste due esperienze amministrative Rizzo svolse un ruolo di prima piano, nella città si parlava infatti di giunta Orlando-Rizzo. Un rapporto sempre improntato a leale collaborazione ma che mai Rizzo indulse al conformismo e all’ appiattimento opportunistico dei nuovi cortigiani che trovò grande spazio anche all’interno del PCI.
Non mancò occasione di far sentire la sua voce critica di fronte a provvedimenti e scelte che riteneva sbagliate anche nei confronti del sindaco di cui spesso criticava l’eccessivo protagonismo e l’inconcludenza amministrativa. L’opinione pubblica, infatti, lo percepiva come l’anti Orlando per il suo pragmatismo. Anche sul terreno antimafia rizzo sosteneva che la lotta alla mafia non poteva limitarsi ai discorsi e ai convegni ma occorreva per essere credibile dare risposte ai problemi dei cittadini.
Queste posizioni coraggiose gli valsero ostilità a cominciare dal PCI che avrebbe avuto, invece, il dovere politico e morale di difenderlo.
Al contrario quando in una intervista al Giornale di Sicilia criticò la “chiacchierologia” e l’immobilismo amministrativo che vigeva a Palazzo delle Aquile, auspicando l’ingresso in giunta non solo dei comunisti (siamo nella giunta pentacolore) ma soprattutto dei socialisti che svolgevano una dura opposizione, fu censurato dai dirigenti del PCI e costretto in modo stalinista a fare autocritica pubblica e ritirare le severe critiche rivolte al Sindaco che venivano considerate un favore alla vecchie forze politiche colluse con la mafia..
Era questo allora il clima dominante, la cosiddetta cultura del sospetto, inaugurata dal gesuita Ennio Pintacuda con la frase il “sospetto è l’anticamera della verità” che ebbe molti sostenitori oltre che in Orlando e nei suoi seguaci anche tra i giustizialisti che albergavano nel PCI.
Il rapporto fra Rizzo e il PCI (trasformatosi in PDS) entrò definitivamente in crisi in seguito alla decisione del Partito nel 1992 di non candidarlo dopo tre legislature alla camera dei deputati mentre egli si riteneva meritevole di un’altra elezione per il lavoro svolto sia come amministratore sia come parlamentare.
Nel 1990 era stato candidato sempre dal Pci in consiglio comunale e dopo la crisi politica seguita alla rottura tra Orlando e la DC Rizzo accettò la proposta del ministro Calogero Mannino di diventare sindaco di Palermo. Nelle sue dichiarazioni programmatiche pose l’accento sulla questione morale e la trasparenza amministrativa nell’intento di dimostrare che il rinnovamento della politica poteva perseguirsi anche senza Orlando. L’esperienza si rivelò un fallimento e durò pochi mesi. Successivamente fu sfiorato anche lui dal clima di sospetto e dalla pratica delle insinuazioni e decise di ritirarsi dalla politica e di tornare al suo lavoro di magistrato.
Un settimanale, infatti, aveva pubblicato la notizia di un’indagine dei carabinieri su presunti acquisti di terreni da personaggi in odor di mafia, mentre era vice sindaco della “Primavera”. Il suo abbandonò fu una perdita grave per la città. una risorsa sprecata, una personalità che avrebbe potuto contribuire a realizzare quella svolta sempre auspicata e mai attuata e che dovrebbe essere degnamente ricordata.