Per il Tribunale del Riesame di Roma, non ci sarebbe alcun errore di persona nell’indagine della Procura di Palermo che ha chiesto e ottenuto l’estradizione dal Sudan di un eritreo accusato di essere tra i capi di una delle principali organizzazioni criminali che gestiscono la tratta dei migranti tra l’Africa e l’Italia. I legali dell’africano, noto agli investigatori come Mered Medhanie Yedhego, avevano chiesto l’annullamento della misura cautelare emessa dalla procura della Capitale che, come i colleghi palermitani, accusa l’eritreo di tratta di emigranti.
A carico del detenuto, dunque, sussistono due provvedimenti di custodia cautelare per due indagini diverse, quella di Palermo e quella di Roma. Nel capoluogo siciliano Mered è già sotto processo, mentre a Roma il procedimento non è ancora approdato in aula. Il legale dell’eritreo sostiene che quello estradato non sia il trafficante di uomini, ma un profugo che, dal Sudan, avrebbe dovuto raggiungere le coste siciliane. Una tesi a cui non credono i giudici romani che hanno confermato il carcere, per il pericolo di fuga e il rischio concreto di reiterazione del reato e hanno scritto: “tenuto conto che, in attesa di ulteriori approfondimenti investigativi, occorre valorizzare gli elementi che, anche sotto il profilo dell’esatta identità dell’arrestato, assurgono a gravi indizi e consentono di ritenere che il soggetto tratto in arresto in Sudan ed estradato in Italia sia l’indagato Mered”.
Ieri aveva deposto – davanti alla quarta sezione del Tribunale di Palermo – Nuredine Wahabrebi Atta, collaboratore di giustizia, nel processo al presunto trafficante di esseri umani. Atta, arrestato nell’operazione Glauco 2, ha ribadito quanto già detto ai pm: la fotografia con i capelli lunghi e crocifisso (riportata nel profilo Facebook di Mered Medhanye Yedego) inquadra Habdega Asghedom, persona che il collaborante ha detto di avere incontrato a Catania a febbraio 2014. Inoltre, Atta ha detto di non conoscere l’imputato presente in aula e di non aver mai visto Mered Medhanye Yedego, conosciuto solo per la sua fama. Per la Procura questo è un punto a suo vantaggio perché attesta che la fotografia con il crocifisso non è in realtà quella di Mered Medhanye Yedego, cosa dimostrata anche dal fatto che nel febbraio 2014 il ricercato sarebbe stato intercettato in Sudan e non a Catania. Di parere diametralmente opposto la difesa. Secondo Calantropo, la foto fatta vedere ad Atta è quella del vero trafficante, che aveva numerosi alias. Inoltre, nel febbraio 2014 non ci sarebbero intercettazioni perché sarebbero partite successivamente.