Tanti emendamenti e un sospetto: c’è qualcuno che non vuole il codice etico e spinge per farlo saltare o ridurne l’impatto? chi è? I dubbi sono legittimi. Il disegno di legge composto da 38 articoli, voluto con forza da Nello Musumeci, presidente dell’Antimafia regionale, era approdato a sala d’Ercole dopo che era rimasto chiuso nei cassetti per oltre un anno. La commissione lo aveva approvato all’unanimità, eppure per 12 mesi su questo testo, che introduce paletti per contrastare corruzione e infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione, era calato il silenzio. In aula era arrivato due settimane fa, ma dopo una breve discussione il ddl è tornato in commissione per evitare che la valanga di 250 emendamenti ne decretasse la morte a sala d’Ercole. Un passo indietro definito “informale”, dato che la commissione Affari istituzionali lo rivaluterà assieme ai componenti dell’Antimafia, l’obiettivo è di scremare i 250 emendamenti, raggiungendo un accordo prima di rispedire il testo in aula.
Le commissioni congiunte si riuniranno proprio oggi per tentare di salvare il codice etico da chi lo vorrebbe impallinare. Chi rema contro il ddl non è un mistero, i loro nomi si trovano proprio nella montagna di emendamenti. A firmarli sono i deputati di Sicilia Futura, gruppo di maggioranza – tra cui i parlamentari Tamajo, Lo Giudice, D’Agostino – e quelli del Mpa, all’opposizione. Alcuni emendamenti portano la firma dei 5Stelle, ma in questo caso si tratte di norme ancora più restrittive. Sono tanti gli aspetti del ddl che hanno fatto venire il maldipancia, tra questi la norma che prevede sanzioni pecunarie per i parlamentari che cambiano gruppo senza una giustificazione vidimata dal capogruppo uscente: i transfughi perderebbero 550 euro, il contributo che il deputato versa al gruppo per le spese di funzionamento. Non solo. Un’altra norma prevede che chi è stato rinviato a giudizio per reati associativi non può far parte dell’ufficio di Presidenza dell’Assemblea. Il codice etico si estende a una platea vastissima: deputati, dipendenti dell’Assemblea, personale della Regione e di enti controllati e partecipati e persino consulenti e collaboratori della pubblica amministrazione.
Finora, nell’ambito della Regione sono stati emanati ben cinque codici etici o di condotta, tutti però recepiti o con accordi contrattuali o con provvedimenti amministrativi. Il ddl in questione fa propri i vigenti codici (e gli obblighi che ne derivano per i soggetti indicati), riportando ad unità la materia e viene recepito con legge dell’Assemblea regionale siciliana. Il testo inoltre fa un richiamo esplicito alla norma per la trasparenza patrimoniale di tutti i soggetti previsti che non possono sottrarsi all’obbligo di fornire annualmente, tramite la pubblicazione sui siti web dell’amministrazione di competenza, i dati relativi alle attività professionali svolte, ai redditi, agli incarichi ricevuti, nonché ai potenziali conflitti di interesse. La mancata osservanza comporta, in aggiunta alle sanzioni previste da specifiche leggi, la decadenza dell’incarico se entro e non oltre 30 giorni dalla diffida, notificata ai sensi di legge, i soggetti interessati non forniscano i dati richiesti. E ancora: deputati regionali, presidente della Regione, assessori, dirigenti generali, dirigenti, personale della Regione e dell’Ars, amministratori di enti e società, sono tenuti, all’atto dell’insediamento, a dichiarare i rapporti di collaborazione – in qualunque forma retribuiti – svolti nell’ultimo quinquennio o se sussistono ancora rapporti di natura finanziaria o patrimoniale con il soggetto per il quale la collaborazione è stata prestata. Devono ancora dichiarare se abbiano aderito o aderiscono ad associazioni od organizzazioni anche di carattere non riservato. Infine, devono dichiarare quali attività professionali o economiche svolgono le persone conviventi. Il finanziamento dell’attività politica, inoltre, sarà soggetto a una rigida disciplina che impedisce, a tutti i soggetti di accettare sostegni finanziari o altra utilità direttamente o indirettamente collegata alla propria attività politica e amministrativa.
Al fine di prevenire il fenomeno della corruzione, il dipendente pubblico è tenuto a rispettare le misure necessarie alla prevenzione, agli illeciti nell’amministrazione e a rispettare le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione in base alla legge 190/2012 e al decreto legislativo 33/2013. Un’altra norma prevede che le pubbliche amministrazioni della Regione informino i propri dipendenti circa i rischi di infiltrazioni di tipo mafioso e di corruttela mediante la diffusione di conoscenze e notizie sulle forme di criminalità presenti nel territorio e sulle modalità di azioni praticate nei vari settori quali, ad esempio, gli appalti di lavori, servizi e forniture. Dovranno essere predisposti corsi di formazione di aggiornamento e ed evoluzione dei rischi di infiltrazioni ad opera della criminalità e l’educazione alla legalità, “quali comportamenti fondamentali dell’etica professionale e presupposti per l’efficacia, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione“. E’ prevista altresì la istituzione di corsi di formazione obbligatoria e continuativa per il personale che svolge le proprie mansioni nel settore degli appalti, dell’urbanistica, dell’edilizia e del rilascio di concessioni. Per evitare assegnazioni di personale per lunghi anni nel medesimo ufficio dovranno far ruotare il personale, almeno ogni tre anni, con particolare riguardo ai dipendenti che svolgono le proprie mansioni nei settori maggiormente a rischio di infiltrazioni di tipo mafioso.
“E’ fatto divieto, comunque – si legge nel ddl – di trasferire il personale negli uffici dello stesso dipartimento; dovendosi invece privilegiare il trasferimento dei dipendenti in uffici di altro dipartimento regionale”. All’articolo 10 è previsto che i deputati all’Ars destinatari di un “provvedimento giudiziario di rinvio a giudizio per reati di particolare gravità non possono essere chiamati a ricoprire incarichi presso il Consiglio di Presidenza dell’Ars, negli esecutivi delle commissioni legislative permanenti e speciali, negli esecutivi dei gruppi parlamentari costituiti”. “Se già in carica, il deputato raggiunto dal provvedimento giudiziario deve dimettersi entro dieci giorni dalla notifica”. (AM)