Dopo l’ennesimo suicidio, avvenuto stamani a Gela (un ottico di 63 anni si è impiccato nel magazzino del suo negozio), la città si interroga per capire se si tratta solo di una casuale serie di episodi autolesionistici (una quarantina nel 2016 tra suicidi e tentati suicidi), o se invece vi sia un nesso con patologie cerebrali riconducibili all’inquinamento ambientale.
Sotto accusa sono i metalli pesanti e l’inquinamento industriale legato a 60 anni di attività del petrolchimico. Uno studio sull’incidenza specifica di questo fenomeno non è stato mai fatto nell’area gelese, dove tuttavia, due campagne di ricerca dell’arsenico nel sangue e nelle urine, finanziate da Cnr e Regione Sicilia (la Sebiomag del 2008-2009 e la SePias del 2011) hanno permesso di accertare la presenza di tale metallo sul 25% di un campione di 500 persone individuato tra Gela, Butera e Niscemi. L’arsenico pericoloso è quello organico (non smaltibile con le urine) riscontrato sul 27% di 250 persone selezionate nello stesso campione. Tuttavia, se per alcuni studiosi e ricercatori, come il tossicologo Francesca Di Gaudio, “le neuropatie sono prevedibili in un’area ad alto rischio ambientale, come Gela”, per molti medici, tra cui Giuseppe Arancio, psichiatra, “i metalli pesanti possono causare danni organici al cervello ma non danni funzionali”.
“Un soggetto – spiega il sociologo Angelo Margiotta, del centro di salute mentale (Csm) di Gela – può decidere di suicidarsi per mille motivi, indipendentemente dal danno biologico che i metalli pesanti possono aver causato al suo cervello”.