Comincerà il prossimo 9 dicembre l’udienza preliminare per gli agenti della polizia, Francesco Elia e Alessandra Salamone, finiti ai domiciliari a luglio scorso per calunnia e falso. Ad agosto il riesame aveva rigettato la scarcerazione ma i giudici non hanno creduto alla versione degli agenti sulla sparatoria che avvenne il 16 marzo dello scorso anno allo Zen 2 di Palermo. Secondo il giudice Maria Pino il conflitto a fuoco non ci sarebbe mai stato, da qui l’arresto con l’accusa di avere organizzato una messinscena.
“Abbiamo visto un’auto che procedeva a zig zag, nella rotonda di via Lanza di Scalea – hanno detto – Appena il conducente si è accorto di noi, è fuggito e l’abbiamo inseguito. Abbiamo poi perso di vista il veicolo, fino a ritrovarlo allo Zen 2 dove c’è stato il conflitto a fuoco”. Dopo la sparatoria, fu arrestato un giovane rom rimasto in carcere 59 giorni: Roberto Milankovic (per altro non riconosciuto dagli agenti dopo il suo arresto) che è a processo ma solo per resistenza a pubblico ufficiale. Durante le indagini è infatti caduta l’accusa di tentato omicidio. Le spiegazioni date dagli agenti, secondo il pm non sono plausibili. Anche gli accertamenti balistici convergerebbero verso l’ipotesi di calunnia, secondo il pm e il gip che convalidò l’arresto. Per il perito Glauco Angeletti, consulente del pm, il proiettile che colpì l’autovettura della polizia fu sparato da 6-8 metri e non 40 come riferito dai poliziotti.
“E’ una consulenza priva di qualsiasi carattere scientifico, fatta da una persona che si occupa di armi antiche – ha detto l’avvocato degli agenti Antonino Zanghì – Il proiettile è stato sparato da almeno 15-20 metri. Una distanza compatibile con la versione dei miei assistiti, inoltre non è possibile che Elia si sia sparato causandosi una ferita come quella che aveva sul braccio”. Il giudice delle indagini preliminari ha ricostruito anche un possibile movente. Gli indagati avrebbero agito per “conseguire visibilità e benefici nell’ambito dell’amministrazione pubblica di appartenenza. La simulazione del conflitto a fuoco è stata realizzata mediante un atto di autolesionismo e adoperando beni dei quali gli indagati avevano disponibilità per il lavoro”. Anche questo, secondo Zanghì, è “assurdo” così come è “sproporzionata la misura cautelare”. Per il gip, “Il pericolo di reiterazione criminosa è grave ed è attuale”. Dello stesso parere anche il Riesame. Adesso la parola passa al gup Gioacchino Scaduto.
(LS)