Ci sono pochi dubbi sull’esistenza di una mano dolosa dietro a gran parte di quanto accaduto in Sicilia il 24 luglio.
Parliamo, ad esempio, di Bellolampo, l’impianto che ogni giorno raccoglie circa 900 tonnellate di rifiuti provenienti da Palermo.
Bellolampo è l’anti-città, di calviniana memoria, che dalla collina domina tutto il capoluogo. Solo che, mentre Leonia è messa a rischio dalle montagne formate dagli oggetti che non servono più e che possono causare enormi frane, Palermo è in costante pericolo a causa della nube tossica che sovrasta la città ogni volta che un incendio manda letteralmente in fumo la spazzatura. È successo nel 2012 e nel 2015. È successo anche quest’anno.
Nel primo pomeriggio di lunedì, quando le temperature atmosferiche iniziavano la rincorsa verso livelli record, il primo rogo. Autocombustione? In pochi continuano a crederci. E, guarda caso, il focolaio è nato proprio nella quarta vasca, che è quella che, grazie ad alcuni accorgimenti, ha garantito il funzionamento della raccolta in attesa del completamento della settima.
Il forte vento, arrivato a soffiare anche a 60 nodi, e le altissime temperature nella giornata più calda dell’anno hanno fatto il resto, bruciando le canalette di plastica dell’impianto di biogas e arrivando anche a lambire il deposito di carburante.
Insomma, quello che poteva essere un incendio facilmente circoscrivibile e domabile con l’ausilio di un canadair fin dalle prime ore si è trasformato in un pericolo concreto di diossina per l’intera Palermo. Il supporto aereo è arrivato soltanto nel tardo pomeriggio di ieri. Troppi interventi ancora più urgenti hanno tenuto i soccorritori lontano da Bellolampo.
“È stata attaccata Palermo. Non lo pensano neanche gli esperti – commenta Igor Scalisi Palminteri – che sia frutto di una pura coincidenza. È stato un attacco ben preciso e probabilmente strutturato meglio di altre volte”.
Per il pittore di quartiere la riflessione è sui “danni alla salute, alla bellezza del territorio e ai beni culturali che sono stati distrutti dagli incendi di questi giorni. Le radici – dice – sono da ricercare in diversi ambiti. È inutile negare l’esistenza di un cancro chiamato mafia o in mille altri modi – spiega – che sfrutta queste situazioni per farci dei soldi. Sono azioni al servizio di un potere che non riusciamo a comprendere bene. Il pesce – sottolinea con coraggio – puzza dalla testa La conseguenza di queste sciagure è la messa in moto di una macchina che porta soldi in alcuni territori. Quindi, questi incendi fanno comodo a tanti”.
“Lo Stato non conviene”. È questo il messaggio che passa al termine di emergenze di questo tipo. Che nascono anche dal malcontento, dal disagio che viene alimentato come le fiamme di un incendio che si allarga sempre di più. Rimane l’effetto, non la causa, l’eversione nell’emergenza: “Un incendio – ribadisce Scalisi Palminteri – distrugge cose concrete, ma anche la nostra anima, la nostra storia. Annienta la nostra identità. Chi sta dietro a questi episodi dolosi non capisce che sta bruciando se stesso e le generazioni future”.
Un cambio di mentalità è possibile? “Sì”, risponde senza alcun dubbio il pittore di quartiere. “Bisogna sensibilizzare al bello, attraverso l’arte e non solo. Non esiste una ricetta precisa, ma credo nella goccia che scava la pietra. Antimafia è un processo culturale lento e costante, non il raccontino che se ne fa una volta ogni tanto”.